Il modo in cui il nostro cervello risponde all’ascolto di suoni complessi potrebbe diventare un affidabile strumento per diagnosticare una concussione e stabilire oggettivamente la sua severità.
Lo suggerisce uno studio apparso sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature, nel quale i ricercatori della Northwestern University guidati dalla neuroscienziata Nina Kraus sono riusciti a individuare la presenza di una concussione osservando alcune attivazioni cerebrali (i potenziali evocati uditivi, “frequency following responses”) in risposta a stimoli uditivi complessi come il parlato e registrate da alcuni elettrodi posti sulla testa dei soggetti. Oltre ad essere semplice e non invasivo, il test è anche molto sensibile: esso ha, infatti, permesso di identificare i bambini con trauma cranico con un’accuratezza del 90% (18 bambini su 20) e quelli del gruppo di controllo (quindi non andati incontro a concussione) con un’accuratezza del 95% (19 su 20).
Dallo studio è emerso che i cervelli dei bambini traumatizzati cranici avevano risposte diverse (più piccole e più lente) all’ascolto della voce di un parlante. A distanza di 27 giorni dal trauma, tutti i bambini avevano avuto una riduzione dei sintomi accompagnata da un cambiamento dell’attività elettrica del cervello nella direzione della normale risposta neurale ai suoni. In altre parole, il miglioramento dell’elaborazione uditiva andava di pari passo a quello della condizione clinica dovuta alla concussione stessa.
Che un test dell’udito possa essere un biomarcatore efficace per la gravità del trauma cranico, spiegano gli autori dello studio, non è affatto sorprendente: l’elaborazione uditiva è 10 volte più rapida di quella visiva e coinvolge diversi circuiti cerebrali e ciò la rende un marcatore sensibile di danno neurale. In particolare, gli autori ipotizzano che i traumi cranici concussivi alterino l’elaborazione di caratteristiche chiave dei suoni, fondamentali per l’identificazione e il monitoraggio dei dialoghi e, di conseguenza, per la comprensione del discorso parlato in ambienti rumorosi.
Nonostante la ridotta numerosità del campione studiato (in totale 40 bambini di età compresa tra 11 e 15 anni), gli autori sono piuttosto soddisfatti dei risultati, anche perché il trauma cranico è spesso difficile da monitorare in particolare nei soggetti giovani.
Spesso la concussione è un evento clinico non diagnosticato. In Italia, le stime parlano di 250 casi all’anno ogni 100mila abitanti con oltre 2.000 ricoveri ogni milione di abitanti. Le cause principali sono gli incidenti stradali, ma anche le cadute accidentali, gli infortuni sul luogo del lavoro, le aggressioni, oltre alle varie discipline sportive (lo sport costituirebbe circa il 10% dei casi totali). In genere, la diagnosi si basa sui sintomi, disturbi come vertigini e stordimento, e a volte si avvale di esami diagnostici come la TAC o la risonanza. I ricercatori sono da tempo alla ricerca di biomarcatori specifici, come la presenza di alcune proteine nel sangue, in grado di individuare prontamente la presenza di danni cerebrali dovuti al colpo alla testa (all’impatto del cervello sul cranio e allo stress meccanico impresso ai tessuti dal loro rapido spostamento - colpo e contraccolpo) e i casi più a rischio di sviluppare le lesioni secondarie, causate dal danno cellulare immediato ma che possono comparire anche a distanza di ore dall’evento. Per quanto riguarda i bambini, si è alla ricerca anche di un metodo affidabile di monitoraggio del trauma e dei suoi effetti di lungo periodo.
http://www.nature.com/articles/srep39009
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