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Hiv (Aids). Hbv (epatite B). Hcv (epatite C). Sono questi i virus più frequenti nelle carceri italiane, dove a fronte di poco meno di centomila detenuti, ce ne sono più di un terzo portatori dei tre patogeni: la metà dei quali ne è inconsapevole, però.

Una situazione che rende maggiormente probabile la loro diffusione, perché «un ambiente ristretto e sovraffollato, abbinato alla scarsa coscienza della malattia, fanno ritenere che questo rischio possa essere elevato», afferma Sergio Babudieri, docente di malattie infettive all’Università di Sassari e presidente della Società Italiana di Medicina Penitenziaria, riunita nel congresso nazionale fino al 16 settembre a Roma per fare il punto sulla situazione sanitaria nelle carceri italiane.

L’EMERGENZE DELLE MALATTIE INFETTIVE

Tra i carcerati le malattie infettive rappresentano la seconda emergenza più sentita, dopo quelle psichiatriche. Nel corso del 2015, all’interno dei 195 istituti penitenziari italiani, sono transitati quasi centomila detenuti. Sulla base di numerosi studi nazionali, si stima che cinquemila di essi fossero positivi al virus Hiv, 6500 portatori attivi del virus dell’epatite B e ben venticinquemila coloro già venuti a una probabilità superiore di sei volte rispetto a quanto si verifica all’interno di comunità consapevoli, che adottano le precauzioni necessarie per impedire la diffusione dei virus.

A contribuire alla maggiore diffusione, come spiega Babudieri, sono state inoltre «l’elevata presenza di queste infezioni in un’ampia aliquota di detenuti, la notevole promiscuità anche sessuale presente in alcune situazioni, insieme alla pratica diffusa dei tatuaggi ed agli episodi di conflittualità talvolta esitanti in violenza, fanno ritenere che il rischio in questo ambito possa essere elevato, ma difficilmente quantizzabile dal punto di vista scientifico».

Senza dimenticare che anche la tubercolosi, tra i carcerati, risulta venti volte più frequente rispetto alla popolazione generale.

QUALI CONSEGUENZE DALLE INFEZIONI

Le maggiori preoccupazioni derivano dalla difficoltà nello scoprire le infezioni, che oggi rispetto al passato sono più facilmente curabili: grazie agli antiretrovirali, che hanno rivoluzionato prima la terapia dell’Aids e poi quella dell’epatite C.

Soluzioni simili non riguardano invece l’epatite B, trasmessa principalmente per via ematica, per cui dal 1991 vige però l’obbligo di vaccinazione. Ciò nonostante, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ci sono più di trecento milioni di pazienti infetti dall’Hbv nel mondo e circa un milione di questi muore ogni anno a causa della cirrosi epatica, che può anche evolvere nel tumore del fegato (altra principale causa di decesso).

I DIRITTI NEGATI

Così, da potenziali oasi in cui migliorare lo stato di salute, le carceri si sono trasformate in luoghi in cui le malattie infettive proliferano più che altrove. A rendere possibile un simile scenario - stando a quanto emerso durante il convegno, ospitato dall’Istituto Superiore di Sanità - è stato anche il divieto vigente in Italia di far entrare nelle strutture siringhe monouso (da utilizzare per tatuarsi) e preservativi, che rappresenterebbero la prima barriera contro la diffusione delle infezioni sopracitate.

Un messaggio che gli infettivologi ripetono da tempo, portando a esempio anche quanto citato nel pacchetto di misure varato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite . Per adesso, però, in Italia nessuno si è preoccupato di imprimere una svolta alla salute dei detenuti.

Twitter @fabioditodaro

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