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In un primo tempo avrà cercato di aiutarsi da sola, facendosi mille discorsi. Poi si sarà aggrappata agli affetti, per tentare di uscire da quell’incubo. Nulla ha funzionato. Perseguitata da quella che viveva come un’onta insopportabile, anche Tiziana Cantone, come molte altre donne prima di lei, ha scelto di spezzare la sua vita, a 31 anni, impiccandosi nella cantina della casa dove era andata a vivere con la madre a Mugnano, in provincia di Napoli.

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LA VERGOGNA

L’ennesima tragedia provocata da un malessere forte, indomabile, travolgente e spesso onnipotente: la vergogna. Difficile classificare questo disagio. È un sentimento che alberga nell’animo umano e salta fuori quando sollecitato da qualche stimolo esterno? È una sensazione passeggera, vaga ma potenzialmente dirompente se alimentata e supportata da qualcosa o qualcuno che ci sta intorno? È un concetto assoluto ed oggettivo, oppure una condizione del tutto relativa, modulata da influssi imprevedibili?

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PERCHE’ LA PROVANO SOPRATTUTTO LE DONNE

Un fatto è certo. Quando è la vergogna a determinare gesti estremi, soprattutto se legati alla sessualità, le vittime sono quasi sempre donne. Difficile immaginare un uomo che si toglie la vita per aver visto messe alla berlina le sue performance erotiche. Evidentemente c’è una differenza di genere anche nella percezione del disagio e a determinarne la potenza d’impatto non è la presunta fragilità emotiva delle femmine rispetto ai maschi, ma qualcosa di ben più complesso.

LA SPIEGAZIONE DELLO PSICHIATRA

«In un evento come il suicidio collegato al timore del giudizio da parte della società - spiega Emilio Sacchetti, professore di Psichiatria presso l’Università di Brescia e presidente della Società Italiana per i Disturbi Bipolari - un grosso peso viene dall’impostazione culturale del Paese in cui si vive. In Italia la parità fra i sessi non esiste ancora, nonostante si facciano tanti discorsi per farla credere reale. I suicidi delle donne che avvertono il senso della vergogna, ma anche i femminicidi, sono collegabili ad una cultura ancora retrograda e giudicante nei confronti del cosiddetto “gentil sesso”. Il corto circuito che fa scatenare la reazione spropositata ed estrema di una persona vittima di una pubblica derisione, è l’insostenibilità dello “stigma”. E questo è inflitto soltanto alle femmine, per il maschio non esiste. Pensiamo a quello che veniva chiamato il “delitto d’onore”. Soltanto pochi decenni fa il tradimento della moglie era considerato un’attenuante per quei mariti che assassinavano le consorti infedeli. La stessa cosa non valeva all’inverso. La nostra cultura si trascina dietro molti retaggi e siamo ancora distanti dal liberarcene».

QUANDO DICONO «SE L’E’ CERCATA»

La responsabilità della società, dunque. Una comunità ancora fortemente «giudicante» e «condizionante». Ma allora dobbiamo temere che tutte le donne che vivono in contesti che ancora non hanno completato il loro processo di evoluzione culturale possano essere a rischio in un frangente come quello della «gogna mediatica»?

«Non c’è dubbio che la pressione su ciascun individuo in questi casi è più forte in società paternaliste, o addirittura arcaiche - afferma il professor Sacchetti -. Pensiamo anche al caso della ragazzina di 16 anni stuprata da più uomini e dalla reazione avuta dai suoi compaesani. “Se l’è cercata”, urlavano in piazza. Questo la dice lunga su determinate concezioni ancora profondissime nella mentalità di alcune culture. Ciò che intendo sottolineare è che la vergogna è un disagio indotto. Che nasce e cresce perché nutrito dalla pressione ambientale . Che non è la stessa a tutte le latitudini».

FAMIGLIA, SCUOLA E SOCIETA’ DEVONO EVOLVERSI

Il cambiamento allora potrebbe e dovrebbe arrivare dalla società, a partire dai microcosmi della famiglia e della scuola. In questi contesti potrebbero cominciare a circolare informazioni nuove, moderne e sane rispetto alla sessualità, sia delle femmine che dei maschi. «Non c’è dubbio che la trasformazione ormai non soltanto necessaria ma addirittura urgente, dovrebbe partire dai piccoli nuclei - conferma il professor Sacchetti -. La sessualità ha molte sfaccettature. Ricordiamoci anche tutto l’immaginario negativo legato alla masturbazione: se lo fai diventi cieco. Follie. La sessualità va sperimentata con libertà e serenità e per riuscirci occorre che chi ci sta intorno non agisca con pressioni psicologiche inutili o peggio, dannose».

SESSO VISSUTO COME UN GIOCO

Il sesso andrebbe vissuto come un gioco innocuo, anche nelle sue forme un po’ trasgressive. «Non ci sono bianchi o neri in questo ambito - chiarisce il professore Sacchetti - È pieno di sfumature e tutto è accettabile se condiviso fra persone consapevoli e consenzienti e a patto che non venga lesa la salute fisica e psichica e la libertà di chi vive l’esperienza. Ciascuno dovrebbe sentirsi libero di fare ciò che vuole, nel rispetto dell’altro».

CI FA PIU’ PAURA IL GIUDIZIO DI CHI: GENITORI O SOCIETA?’

Lavorare allora su senso di colpa e vergogna. Ma verso chi ci si sente in colpa e a chi pensiamo quando proviamo vergogna? Ci diciamo: che cosa dirà mia madre, oppure ci preoccupano di più gli amici, i colleghi, il vicino di casa? «Beh per ciascun individuo la risposta è diversa - dice il professor Sacchetti -. Perchè non c’è un soggetto giudicante universale e valido per tutti. Per ognuno di noi ci sono figure dominanti e altre senza valore. In una situazione di difficoltà emotiva e di vergogna, si finirà per dare più importanza al giudizio di questa o di quella a seconda di come vengono vissuti quei personaggi. Sono assetti variabili. Se temo il disonore della famiglia penserò al giudizio dei genitori. Se non ci tengo, il mio timore sarà altrove. Per qualcuno, ciò che potrebbe pensare la madre, sarà assolutamente irrilevante. Per altri sarà la molla decisiva per farla finita».

IL PERCORSO PSICOLOGICO

Resta da chiedersi, nel caso di Tiziana Cantone, cosa avrebbe potuto fare per aiutare se stessa a superare il dramma e continuare a vivere. C’era una strada che non ha pensato di percorrere e che invece l’avrebbe salvata? «Da sola poteva fare ben poco ormai - chiarisce il professor Sacchetti - Era in una situazione di stress gravissimo. Un supporto esterno forse avrebbe fatto la differenza. Magari lo aveva, ma di sicuro il percorso era complicato. Doveva riuscire a convincersi di essere la vittima e non il carnefice».

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