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La vulvodinia è una patologia che colpisce circa il 12-14% della popolazione femminile; si stima che solo in Italia soffrano della condizione circa 4 milioni di donne; può comparire sia in età infantile/adolescenziale che senile anche se il picco dei casi si registra nella fascia di età 20-40 anni.

Il disturbo si caratterizza per il dolore forte e intenso della zona vulvare, spesso descritto come urente, o simile a quello provocato dalla puntura di spilli. Il dolore può essere continuo o presentarsi a intervalli: molte donne ne denunciano l’acuirsi in fase perimestruale; può essere spontaneo o provocato da compressione o stimoli tattili o associato alla penetrazione, in questo caso si parla di dispareunia.

NON SOLO DOLORE

«Per molte donne la condizione è aggravata anche dalla presenza di ipertono dei muscoli del pavimento pelvico- spiega la professoressa Anna Bernabei , ginecologo, dirigente medico presso l’Università degli Studi di Siena- che contribuisce all’aumento della sintomatologia dolorosa. Inoltre sono spesso presenti comorbilità urologiche come cistiti ricorrenti, comorbilità colonproctologiche come stipsi e comorbilità ginecologiche come candidosi ricorrenti».

QUALITÀ DELLA VITA

Facile intuire che chi soffre di vulvodinia vede peggiorare pesantemente la propria qualità di vita: può diventare difficile persino camminare, è impossibile indossare un paio di pantaloni più attillati e talvolta è insopportabile persino il contatto con la biancheria intima e non di rado, la penetrazione è del tutto impossibile. Non è difficile comprendere, alla luce di quanto descritto, come vengano pesantemente compromesse anche le relazioni di coppia.

CONDIZIONE SOTTO DIAGNOSTICATA

«Il disturbo è ancora poco conosciuto e sotto diagnosticato non solo a causa della vergogna delle donne a parlarne e a cercare una soluzione con l’aiuto del proprio medico di medicina generale o del ginecologo, ma anche per la scarsa diffusione della conoscenza della malattia. Questo ha comportato fino ad oggi un notevole ritardo diagnostico con conseguente riduzione dei risultati terapeutici» chiarisce ancora la professoressa Bernabei.

QUALI SONO LE CAUSE

Il dolore della vulvodinia è di tipo periferico dovuto cioè a un’alterazione nella trasmissione degli impulsi nervosi e in particolare di quelli dolorosi: si tratta infatti di una vera e propria neuropatia. Tale alterazione può essere indotta da tanti e diversi fattori irritanti ripetuti, come le infezioni vaginali, il traumatismo ricorrente durante i rapporti sessuali a causa di un’insufficiente lubrificazione vaginale o di un ipertono muscolare, l’incontinenza urinaria nelle diverse fasi della vita, ma potrebbe anche essere una conseguenza di trattamenti messi in atto per curare altre patologie della vulva.

PERCORSO TERAPEUTICO: DALLA BIANCHERIA SCELTA AI FARMACI

Il problema è sicuramente molto complesso e non esiste un trattamento unico, uguale per tutte le donne: la condizione può essere mitigata e correttamente affrontata soprattutto con una diagnosi tempestiva. Si inizia curando l’alimentazione, bevendo almeno due litri di acqua al giorno, regolarizzando la funzione intestinale, evitando di utilizzare detergenti intimi aggressivi, usando solo biancheria intima di cotone bianco e evitando di utilizzare gli assorbenti interni.

«A parte gli accorgimenti del caso è necessario intervenire con la terapia medica basata sia su integratori alimentari come quelli a base di palmitoiletanolamide che riducono il rilascio locale di sostanze proinfiammatorie; di integratori per la sofferenza di nervi periferici; o anche di integratori per la regolarizzazione della funzione intestinale e la pulizia delle vie urinarie; sia su farmaci neurotropici, antiinfiammatori e utilizzando anche farmaci della classe degli antidepressivi triciclici per il loro importante meccanismo miorilassante. Contemporaneamente è importante agire con una terapia locale vulvo-vaginale a radiofrequenza ed elettroporazione che permette di ottenere ottimi risultati mediante l’amplificazione degli effetti di farmaci che possono essere applicati localmente invece che introdotti per via orale. Si evitano così antipatici effetti collaterali sistemici. La fisioterapia locale con manipolazioni, digitopressioni e stretching completano il quadro terapeutico». conclude la professoressa Bernabei.

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