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Che non si tratti di una cura, lo precisano gli stessi ricercatori. «L’intervento nutrizionale non rappresenta la soluzione alla malattia di Alzheimer - precisa Tobias Hartmann, a capo del dipartimento di neurologia sperimentale all’Università di Homburg (Germania) -. Ma adesso sappiamo che prima si interviene anche in questo modo, maggiori sono i vantaggi per i pazienti».

Una premessa doverosa per presentare i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista «The Lancet Neurology» permetta una significativa stabilizzazione delle performance cognitive e funzionali della vita quotidiana e una riduzione dell’atrofia cerebrale. Il cocktail sperimentale, dunque non riproducibile in proprio, era così composto: acidi grassi omega 3, fosfolipidi, vitamine del gruppo B (B6, B12 e acido folico), vitamine C ed E, selenio, colina e uridina monofosfato.

Gli esiti dell’intervento nutrizionale

I risultati dello studio clinico «LipiDiDiet» dimostrano dunque come l’assunzione una volta al giorno di un supporto composto di diversi nutrienti (pur non migliorando i risultati di una specifica batteria di test neuropsicologici con cui si monitora il decorso della malattia, considerati l’obiettivo primario dell’indagine), possa in futuro diventare un’opportunità per permettere di porre un argine alla sua progressione del processo neurodegenerativo.

Lo studio, parte di un ampio progetto di ricerca finanziato dall’Unione Europea, ha coinvolto 311 pazienti con Alzheimer in stadio iniziale arruolati da undici centri di quattro nazioni: Finlandia, Germania, Olanda e Svezia.

I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi: al primo è stata fornita per due anni la bevanda funzionale in studio, all’altro una bevanda di controllo di pari contenuto energetico. S’è così potuto notare il beneficio, consistente nella riduzione dell’atrofia cerebrale: nello specifico dei volumi dell’ippocampo (responsabili dei deficit di memoria) e dei ventricoli (risultano dilatati nei malati di Alzheimer). Un’evidenza che va dunque oltre l’aspetto sintomatico, «che non s’era mai ottenuta prima», aggiunge Hartmann.

La dieta mediterranea come strumento di prevenzione

Le conclusioni meritano di essere considerate ancora pionieristiche, ma riportano l’attenzione sul ruolo che l’alimentazione può avere sia a scopo profilattico sia eventualmente per rallentare la progressione della malattia: di cui in Italia soffrono seicentomila persone.

Le maggiori evidenze, in realtà, riguardano ancora l’aspetto preventivo. Qualche esempio? La dieta mediterranea può far evitare, o permettere quanto meno di ritardare, l’insorgenza della malattia di Alzheimer. Cereali integrali, frutta, verdura e pesce azzurro sono le categorie di alimenti che aiutano il cervello a rimanere giovane. Segno che un corretto stile di vita, che contempla anche una regolare attività fisica, gioca un ruolo non secondario nell’insorgenza delle malattie neurodegenerative.

Come conferma Elio Scarpini, che dirige l’unità dipartimentale malattie neurodegenerative dell’ospedale Maggiore Policlinico di Milano, «è ormai dimostrato che un regime alimentare povero di zuccheri semplici, sale, grassi e proteine animali ha un effetto protettivo sulla fitta rete di neuroni. Stesso discorso può essere esteso al fumo, altrettanto pericoloso per la mente. Un regime alimentare povero ci difende dal rischio di andare incontro alle malattie neurodegenerative».

Twitter @fabioditodaro

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