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In Italia i dati sono pressoché costanti, almeno per il momento: poco meno di tredicimila le diagnosi effettuate nel 2016. Guai però a pensare che il tumore del fegato non faccia più paura. Soltanto il dieci per cento delle diagnosi avviene infatti in uno stadio iniziale. E l’incidenza della malattia fa registrare un trend negli ultimi venticinque anni in ascesa, su scala globale: più 75 per cento, con gli Stati asiatici (Cina e Giappone in testa) alla guida del poco invidiabile ranking.

È questa l’istantanea che emerge da uno studio pubblicato sulla rivista «Jama Oncology», che ha evidenziato come l’epatocarcinoma rimanga un’emergenza per la sanità pubblica, sebbene le cause all’origine di questi dati differiscano a seconda della latitudine.

Una malattia e (almeno) quattro diverse cause

Sta di fatto che la casistica dei tumori del fegato fa registrare un segno più, tanto nei Paesi occidentali quanto in quelli in via di sviluppo. Come detto, però, occorre distinguere le cause. Se nelle realtà meno sicure sotto il profilo igienico e sanitario il rischio è rappresentato in prima battuta dalle trasfusioni di sangue, veicolo di trasmissione dei virus dell’epatite B (Hbv) e C (Hcv), e a seguire dai bassi tassi di vaccinazione (per l’Hbv), in Europa come negli Stati Uniti ad accrescere i tassi della malattia sono due aspetti: l’infezione da epatite C è il filo conduttore, l’abuso di sostanze alcoliche e l’obesità costituiscono il tratto distintivo.

All’agente virale si può ascrivere «il settanta per cento dei casi di tumori primitivi del fegato», afferma Bruno Daniele, direttore dell’unità di oncologia medica dell’ospedale Rummo di Benevento. Un dato che è comunque destinato a ridursi, vista l’opportunità che oggi permette di eradicare l’infezione e di frenare di conseguenza la sua progressione: infezione, epatopatia cronica, cirrosi epatica e carcinoma epatico.

Di conseguenza «lo scenario epidemiologico nel nostro Paese è destinato a cambiare - aggiunge Giovanni Raimondo, direttore dell’unità operativa complessa di epatologia clinica e biomolecolare del policlinico universitario di Messina -. In futuro i principali fattori di rischio del tumore del fegato saranno costituiti dall’accumulo di grasso nel fegato e dalla sindrome metabolica».

La malattia in Italia

Il dossier svela come il cancro al fegato sia la quarta causa di morte oncologica su scala mondiale: dopo i tumori del polmone, del colon-retto e dello stomaco. I numeri, in sintesi, sono impietosi: 854mila diagnosi e 810mila decessi, soltanto nel 2015. Il tumore epatico è una malattia subdola, che non mostra sintomi specifici. Questo spiega come mai appena il dieci per cento dei casi risulti diagnosticato in fase iniziale, quando l’intervento chirurgico può essere risolutivo.

Si tratta di una neoplasia con percentuali di guarigione ancora basse: al momento risulta infatti vivo soltanto il 16,1 per cento dei pazienti, a cinque anni dalla diagnosi. In Italia vivono circa 28mila persone dopo la diagnosi di cancro del fegato: l’un per cento del totale dei pazienti oncologici. Le speranze per il futuro, vista la scarsa efficacia della chemioterapia e della chirurgia negli stadi più avanzati, sono puntate anche in questo caso sull’immunoterapia.

Twitter @fabioditodaro

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