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Numeri ufficiali non ce ne sono. Ma il disagio, a occhio e croce, riguarda tra i tre e i cinque milioni di italiani: più donne che uomini. L’incontinenza - ovvero il bisogno di correre in bagno dopo un colpo di tosse, una risata o uno starnuto - è un problema che negli over 75 può riguardare anche un anziano su due. Il tutto a prescindere dal sesso, che invece non è equamente colpito dal fastidio in età più giovanile.

Il problema sarebbe pure affrontabile, se non ci fosse un’evidente disparità nell’accesso ai trattamenti. Il Servizio Sanitario Nazionale rimborsa infatti i pannoloni assorbenti, che non risolvono però il problema all’origine. Mentre l’accesso ai farmaci è condizionato da un evidente disparità di genere: con la rimborsabilità accordata ai soli uomini e non alle donne, che sono in numero superiore.

PRIMO PASSO: RICONOSCERE LA FORMA DI INCONTINENZA

Come spiega Giuseppe Carrieri, direttore della clinica urologica e del centro trapianti di rene dell’Università di Foggia, «il fenomeno della non aderenza terapeutica è spiegato dalla convinzione che i pannoloni siano la cura dell’incontinenza. Invece esistono trattamenti chirurgici efficaci per le forme gravi e riabilitativi o farmacologici per quelle medie e lievi».

La difficoltà sta soprattutto nel far curare le donne, la maggior parte delle quali interrompono i trattamenti anzitempo «a causa dei costi o del timore di effetti collaterali, possibili ma di scarsa rilevanza: quali secchezza delle fauci o vaginale e la lieve costipazione».

Urologi e ginecologi riconoscono tre forme del disturbo: quella da urgenza (manca la capacità di tenere a bada la vescica dal momento dello stimolo al momento in cui si potrà urinare), quella da sforzo (tipica delle donne che hanno avuto più parti naturali, si verifica quando aumenta la pressione nell’addome a seguito di colpi di tosse, starnuti, risate improvvise) e quella mista. Dal riconoscimento della forma, dipende l’approccio terapeutico: farmacologico e riabilitativo (nei casi di incontinenza d’urgenza) o riabilitativo e chirurgico (con incontinenza da sforzo).

L’URGENZA DI UNA RETE TERRITORIALE

Delicata è anche la questione dell’accesso ai farmaci, che secondo gli esperti deve viaggiare a braccetto con l’urgenza di istituire reti territoriali deputate alla presa in carico del paziente incontinente: dal momento della diagnosi fino alla definizione del percorso terapeutico.

Qualcosa del genere, per il momento, esiste soltanto in Piemonte, ma è di prossima realizzazione anche in Lazio, in Basilicata, in Sardegna e nel Veneto. Obiettivo degli specialisti è quello di fare in modo che il «pacchetto» di prestazioni ambulatoriali approdi nel giro di un anno anche in tutte le altre Regioni.

Spiega Roberto Carone, direttore della struttura complessa di neurourologia dell’azienda ospedaliero-universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino presidente della Società Italiana di Urologia. «L’incontinenza urinaria ha un forte impatto sulla qualità della vita di chi ne soffre e richiede un approccio multispecialistico con il coinvolgimento di più figure professionali: dall’urologo al ginecologo, dall’infermiere al fisiatra, fino al fisioterapista».

Twitter @fabioditodaro

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