Sono oltre 14mila i composti farmacologicamente attivi estratti da organismi marini e il 4% delle specie marine contiene composti ad attività antitumorale. Il contributo del mare alla ricerca è relativamente recente perché, sebbene l’uomo abbia da sempre fatto ricorso alla natura per trovare soluzione a problemi di salute, i prodotti di origine vegetale terrestri sono più facilmente reperibili delle risorse marine.
Dell’importanza del mare per la ricerca, in particolare quella oncologica, si è parlato nel corso di un incontro organizzato da AIRC Associazione Italiana Ricerca contro il Cancro nell’ambito del Festival della ricerca scientifica Trieste Next. La scienza, da una parte, ha smentito molte false credenze sulle benefiche proprietà di organismi marini animali e vegetali, come quella relativa al potere della cartilagine di squalo (sono oltre 200mila gli esemplari uccisi ogni anno) e, dall’altra, ha confermato alcune conoscenze popolari.
Ma ha anche scoperto che le potenzialità del mare per la nostra salute non si sono esaurite: «Gli organismi marini sono organismi modello per comprendere il cancro» ha spiegato Giannino Del Sal, direttore del dipartimento di scienze della vita dell’Università di Trieste e capo dell’unità di Oncologia molecolare del Cib Consorzio interuniversitario biotecnologie, elencando alcuni casi studio. C’è il medaka, piccolo pesce che vive in acqua dolce e acqua salmastra: le caratteristiche del melanoma umano e di quello del pesce sono simili.
«Le firme molecolari nel modello animale sono simili a quelle trovate nelle cellule tumorali umane. Il pesce ci fornisce un modo per studiare l’insorgenza del tumore, ma anche le varie fasi della sua progressione e la reazione ai trattamenti» spiega il ricercatore. Un altro animale molto utile è la lampreda, evolutivamente molto distante da noi, ma la cui «proteina p53 controlla, come negli essere umani, la proliferazione cellulare e la soppressore tumorale; quando è mutata, favorisce la progressione tumorale e conferisce resistenza al trattamento tumorale».
Poi ci sono scoperte che hanno portato ad importanti avanzamenti nelle metodiche utilizzate nella ricerca, si pensi agli studi sulla bioluminescenza delle meduse e alla scoperta nel 1961 della proteina fluorescente verde GFP, che ha valso il Nobel della chimica nel 2008 a Shimonura, Chalfie e Tsien. «Shimonura non aveva idea di dove avrebbero portato le sue ricerche. Fu Chalfie a comprendere l’importanza di poter esprimere le proteina in un altro organismo – racconta Del Sal - Le scoperte che migliorano la capacità di vedere sono fondamentali: le domande rimangono le stesse, mentre consentono di cambiare le risposte».
Un altro caso è quello della trabectedina, molecola di origine marina con attività antitumorale, isolata da ecteinascidia turbinata, un piccolo invertebrato del Mar dei Caraibi e oggi sintetizzata in laboratorio.
«La trabectedina possiede la peculiare abilità di spiazzare selettivamente alcuni fattori trascrizionali che favoriscono l’oncogenesi» spiega il professor Maurizio D’Incalci, direttore del Dipartimento di oncologia dell’Istituto Mario Negri di Milano, raccontando la storia dei successi di questa molecola, che si è dimostrata efficace contro i sarcomi dei tessuti molli e contro il tumore all’ovaio.
La forza della trabectedina è che non agisce solo su cellule tumorali ma anche sul microambiente ed è in grado di rimuovere l’azione soppressiva del sistema immunitario, elimina cioè i macrofagi che invece di combattere il tumore lo aiutano («i poliziotti corrotti»), azione cruciale nella lotta ai tumori. Altri esempi sono l’eribulina mesilato, studiata nella spugna marina Halichondria okadai e oggi usata nel carcinoma mammario, e la lurbinectedina, antineoplastico anch’esso di origine marina.
La storia delle scoperte legate al mare non si è ancora conclusa. «Ci sono enormi potenzialità – conclude Del Sal - abbiamo il dovere di difendere la ricerca e di preservare l’ambiente che ci circonda».
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