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Oggi sembra più chiaro quale sia il codice utilizzato da alcune popolazioni di neuroni per riconoscere i volti. In uno studio realizzato dal gruppo di Doris Tsao del California Institute of Technology e pubblicato recentemente sulla rivista Cell i ricercatori hanno preso in esame il sistema utilizzato dai macachi per identificare le facce delle persone.

Partendo soltanto da un gruppo di 200 neuroni e decodificandone l’attività in relazione alla risposta ad alcune caratteristiche facciali, gli studiosi sono riusciti a realizzare un algoritmo capace di risalire all’intero volto di un individuo sulla base dei soli segnali elettrici prodotti dai neuroni stessi.

COME SI COMPORTANO I NEURONI

«Le singole cellule non rispondono soltanto a una di queste caratteristiche, ma a due o tre. Ad esempio una può rispondere alla larghezza della faccia e alla lunghezza del naso - spiega Piercesare Grimaldi, ricercatore alla University of California, Los Angeles - Ma solamente la somma delle attività di tutta una popolazione di neuroni è in grado di individuare e riconoscere un volto».

Un’idea in contrasto con la cosiddetta «teoria del neurone della nonna», formulata decenni fa dagli psicologi e studiata anche da neuroscienziati del Caltech. In sostanza questi ricercatori pensavano che esistessero dei singoli neuroni che si attivassero nel momento del riconoscimento di un singolo volto, come ad esempio quello della nonna. Un’ipotesi che ora appare troppo semplice per spiegare un meccanismo così complesso.

PREDIRE IL VOLTO OSSERVATO

«Nell’esperimento sui macachi sono state registrate e decodificate le risposte di una popolazione di 200 neuroni ai cambiamenti nei volti che venivano mostrati - continua Grimaldi - Questo è stato possibile modelizzando le facce attraverso 50 punti: modificandoli di volta in volta era possibile quantificare l’attività delle singole cellule in base al mutamento della caratteristiche facciali».

Dopo aver compreso come si comportava questa popolazione di neuroni, è stato possibile costruire un semplice algoritmo in grado di realizzare l’operazione inversa: partendo dall’analisi dell’attività elettrica delle cellule i neuroscienziati sono così risaliti ai volti che gli animali stavano osservando, ricostruendoli in maniera piuttosto precisa.

La cosa interessante dello studio è che i ricercatori inizialmente stavano lavorando a un progetto per capire come si potesse descrivere matematicamente una faccia, riducendola a una serie di valori numerici. Inaspettatamente hanno poi scoperto che l’algoritmo sfruttato per ricostruire i volti in questo modo era lo stesso che veniva utilizzato anche dai neuroni nel cervello.

FUNZIONA ANCHE PER L’UOMO?

Questi esperimenti sono stati condotti solamente su modelli animali perché ovviamente per l’uomo esistono forti restrizioni per l’impianto di elettrodi a livello cerebrale. Ma il cervello del macaco rappresenta il modello più simile all’uomo che può essere studiato sperimentalmente. Finora non è ancora stato provato, ma è pensabile che anche i neuroni degli esseri umani riconoscano i volti attraverso questo meccanismo.

«Il riconoscimento delle facce è una piccola parte di un problema molto più ampio, cioè come il cervello è capace di identificare gli oggetti- conclude Grimaldi - Lo studio dei volti è più agevole grazie alla scoperta di aree cerebrali completamente dedicate al loro riconoscimento. Ma è probabile che gli stessi meccanismi valgano anche quando si osservano gli oggetti».

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