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L’esercizio fisico non ha gli stessi effetti su tutte le persone che lo praticano. Certamente molto dipenderà dal modo e dall’intensità con cui è svolto, ma esiste anche una componente biologica che incide sui risultati degli sforzi fatti. A dimostrarlo è uno studio pubblicato su Nature Medicine da parte di un gruppo di ricercatori della Kanazawa University in Giappone.

LA MOLECOLA COINVOLTA

Si chiama selenoproteina P ed è una molecola, prodotta principalmente dal fegato e secreta nel sangue, che possiede importanti proprietà antiossidanti. In ricerche effettuate in passato erano emersi alti livelli di espressione della proteina in pazienti affetti da diabete: la sua presenza era legata anche all’insulino-resistenza.

La molecola in questione ha però anche un ruolo a livello muscolare.

I ricercatori hanno messo a confronto organismi che esprimevano basse quantità di selenoproteina P con altri che mostravano dei livelli normali. Dopo aver sottoposto entrambi i gruppi a un periodo di esercizi, hanno notato che i primi avevano una risposta migliore all’attività fisica di circa il doppio rispetto ai secondi.

Per il test sugli esseri umani sono state scelte 31 donne che conducevano una vita sedentaria che non soffrivano di diabete. Sono state sottoposte ad attività fisica per otto settimane. Per misurare l’effetto dell’esercizio è stato preso come riferimento la quantità massima di ossigeno consumato dopo lo sforzo. Le donne che mostravano un livello più basso di questo parametro erano anche quelle con una maggior concentrazione di selenoproteina P nel sangue.

UNA CATENA COMPLESSA

La presenza di una bassa quantità di selenoproteina P, e il conseguente minore legame con il suo recettore a livello muscolare, favoriscono una complessa catena di reazioni chimiche associate a miglioramenti negli effetti del lavoro fisico. I ricercatori sostengono che, al contrario, alti livelli della molecola nel sangue ostacolino queste reazioni. Si parla così di una forma di «resistenza all’esercizio» che impedisce di avere i risultati sperati dallo sforzo.

Anche per questo motivo lo studio apre le porte alla ricerca di possibili futuri farmaci che riducano la produzione di selenoproteina P da parte del fegato oppure che impediscano il legame al recettore a livello muscolare. Due strade che hanno uno stesso obiettivo: diminuire la «resistenza all’esercizio» delle persone biologicamente portate ad avere meno risultati dagli sforzi fisici.

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