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Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità è «un grave e crescente problema di salute pubblica». La fibrillazione atriale, di cui domani si celebra la terza giornata mondiale, è la condizione più comune che porta a un battito cardiaco irregolare. A certificarlo, poco più di un anno fa, è stata l’«American Heart Association», dopo aver messo i dati nero su bianco sulla rivista «Circulation»: 33,5 milioni le persone che ne soffrono nel mondo, quasi seicentomila soltanto in Italia, di cui buona parte inconsapevoli (si stima che quattro pazienti su dieci non ricevano cure adeguate).

Se nel 1990 si stimavano 61 casi per 100 mila abitanti, nel 2010 le diagnosi sono cresciute a 78 ogni 100 mila.

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LA FIBRILLAZIONE ATRIALE AUMENTA IL RISCHIO DI ICTUS

L’aritmia, generata nelle camere atriali del cuore e responsabile dell’irregolarità del battito cardiaco, è più diffusa tra gli uomini. Ma l’aumento delle diagnosi registrato nell’ultimo ventennio, evidenzia come anche tra le donne sia aumentata la sensibilità all’aritmia considerata responsabile di un caso su quattro di ictus cerebrale.

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Secondo Stefano Favale, direttore dell’unità di cardiologia al policlinico di Bari, «la fibrillazione atriale oggi è più facilmente diagnosticata perché gli esami sono diventati più accurati e la longevità contribuisce a un aumento dei casi, dato che la prevalenza aumenta con l’età: dai 60 anni in su».

Superata l’ottava decade, infatti, si arriva oltre il dieci per cento di diffusione, anche in conseguenza di diverse malattie: dal diabete alla sindrome metabolica, dalla cardiopatia ischemica all’infarto del miocardio, dall’ipertensione allo scompenso cardiaco. Battito irregolare, palpitazioni, variazioni della pressione sanguigna e affaticamento sono «spie» importanti. «Queste condizioni generano preoccupazione, ma il problema principale della fibrillazione atriale non è l’accelerazione del battito, bensì il rischio di sviluppare ictus da embolie».

Aggiunge Filippo Crea, direttore del dipartimento di scienze cardiovascolari al policlinico Gemelli di Roma: «Chi è affetto da fibrillazione atriale, vede aumentare di quattro volte il rischio di avere un ictus tromboembolico, che risulta in genere molto grave e invalidante, con una mortalità del trenta per cento entro i primi tre mesi dall’evento ed esiti invalidanti che riguardano almeno la metà dei pazienti. Una volta fatta la diagnosi di fibrillazione atriale, il passaggio successivo consiste nello stabilire una terapia anticoagulante per ridurre il rischio d’ictus e nell’identificare le cause predisponenti che spesso necessitano di cure specifiche».

DIVERSE POSSIBILITÀ TERAPEUTICHE

I pazienti - dopo aver eliminato i fattori di rischio, in primis ipertensione e obesità - sono (spesso) trattati con farmaci antiaritmici e anticoagulanti, anche se la terapia, poiché comporta un rischio di emorragie, a volte non è possibile. Un’alternativa arriva dalle tecniche interventistiche transvenose cardiologiche. Nei pazienti a rischio emorragico si interviene chiudendo l’auricola, un’appendice di tessuto muscolare presente nell’atrio sinistro, in cui tendono a formarsi coaguli, con una miniprotesi che assolve la funzione di «tappo». Un’altra soluzione è offerta dalla terapia elettrica. L’ablazione transcatetere individua il tessuto responsabile dell’aritmia e lo distrugge.

INIZIATIVE PER LA GIORNATA MONDIALE

Più che sulle opportunità terapeutiche, la terza giornata mondiale punterà sulla prevenzione della fibrillazione atriale, di cui soffre anche Benedetto XVI. L’Associazione Italiana dei Pazienti Anticoagulati (Aipa), in collaborazione con la casa farmaceutica Daiichi Sankyo, ha organizzato iniziative di sensibilizzazione a Milano (in viale Gabriele D’Annunzio) e a Napoli (davanti al teatro San Carlo) in cui sarà garantita gratuitamente la possibilità di sottoporsi alla misurazione della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e dell’attività elettrica del cuore.

Twitter @fabioditodaro

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