«La periodica insorgenza di casi di meningite meningococcica non dovrebbe allarmarci, ma spingerci a rivalutare l'importanza di promuovere la vaccinazione». Così Roberto Cauda, direttore della Clinica delle malattie infettive al Policlinico Gemelli, invita a non lasciarsi prendere dal panico e a riflettere su che fare per evitare di rimanere vittima di una malattia che può essere letale. Come lo è stato per Susanna.
La meningite fulminante è diventata meno rara?
«Per fortuna è una malattia piuttosto rara. Tuttavia, assistiamo periodicamente a periodiche riaccensioni, a volte anche di tipo epidemico, se pensiamo a quello che è successo in Toscana. Purtroppo la meningite meningococcica può essere davvero letale nel 7-10% dei casi».
Si può prevenire e curare?
«Sì. Si può prevenire con il vaccino e, nel caso in cui si è entrati a contatto con un paziente, con la profilassi antibiotica. Proprio come quella che hanno già fatto i ragazzi del gruppo della povera giovane romana morta. Inoltre, è una malattia curabile che risponde alla terapia con gli antibiotici. Il problema è che purtroppo non si arriva spesso a una diagnosi precoce e quindi si rischia di accedere alla terapia quando ormai è tardi».
Quali i sintomi per poter fare una diagnosi di meningite?
«Febbre alta, cefalea e nausea. Un tratto caratteristico è la rigidità del collo per una contrazione nervosa».
Come si diffonde la meningite?
Per via aerea, attraverso le goccioline di saliva che si trasmettono quando le persone sono a non più di un metro di distanza. Pertanto coloro che sono stati vicini agli infettati dovrebbero essere sottoposti a profilassi antibiotica, che è semplice e decisamente efficace».