Daniela vive a Portoscuso, un paesino del sud Sardegna, ed è affetta dalla sindrome di Bland White Garland: una rara cardiopatia congenita. Quando aveva soltanto tre anni e mezzo ha subito il primo intervento: allora i medici le dissero che un giorno, più in là negli anni, la possibilità di una nuova operazione sarebbe stata realtà. Le visite di controllo hanno scandito la sua vita da quando Daniela era una bambina, una bambina che, invece di giocare con Barbie, si divertiva con un vecchio pupazzino della mamma a forma di cane che lei chiamava Stellina. Era il suo desiderio più grande avere un cucciolo in casa e così, all’età di 7 anni, ha ricevuto questo regalo a quattro zampe. Da quel momento i cani hanno iniziato a far parte di lei: ne ha avuti sette, oltre a tutti quelli che, sin da adolescente, ha recuperato per strada per rimetterli in sesto e trovar loro una casa.
Un giorno di 8 anni fa è arrivato Shonny, un meticcio affetto da displasia: «Ci consoliamo a vicenda, io con la mia malattia e lui con la sua», racconta sorridendo lei. La salute di Daniela, a quel tempo, era sotto controllo. Poi, nel gennaio 2014, un improvviso crollo: «Ho iniziato a star male, me ne sono accorta perché avevo sempre sonno e non era normale considerando che conducevo una vita regolare. Invece, ogni giorno ero più debole».
Ad aprile, senza alternativa, l’intervento a cuore aperto a Bologna: «Sembrava che Shonny sentisse che stavo per morire. Sono entrata in sala operatoria con 40 battiti al minuto e senza sapere come sarebbe andata. Prima dell’intervento, infatti, i medici ti informano sulle eventuali controindicazioni: avrei potuto riportare danni permanenti al cervello o restare paralizzata, soprattutto non si sapeva se l’intervento sarebbe riuscito. Ma mi sono detta: "Se ho almeno una sola possibilità di portare ancora Shonny a fare la pipì fuori, allora me la gioco!». Non ho mai pensato: “Come farò un giorno senza il mio cane?”, il mio pensiero è stato: “Come farà il mio cane senza di me se non torno?”. Il 24 aprile 2014 sono stata operata e messa fuori pericolo di vita».
Shonny si rifiutava di uscire durante la permanenza di Daniela a Bologna: era abituato ad andare con lei ovunque: «Noi facciamo tutto insieme, andiamo al mare, Shonny sa anche surfare!», dice Daniela. Al suo rientro i medici le avevano intimato di restare per un po’ lontana dal cane, perché l’ambiente restasse più asettico possibile: «Non resistevo, ho voluto che tornasse a casa il giorno dopo di me. Non potevo stare a contatto con lui ma almeno sapevo che era in casa, sentivo la sua vocina e lui sentiva me. Quando sono tornata avevo lo sterno spaccato in due, lui non mi è saltato addosso come fa da sempre ma si è accucciato accanto al divano. E anche la notte quando trovava la stanza chiusa non l’ha mai graffiata per chiedere di entrare, e noi dormiamo sempre insieme. Dopo un mese di post-operatorio mi sono fatta forza, volevo, dovevo riprendermi prima del dovuto: il mio cane mi stava aspettando».
Quando Daniela ha iniziato a star meglio, Shonny ha capito e respirato la ritrovata normalità: «Ha ricominciato la solita vita, a saltarmi addosso, a darmi i bacini». Amore puro, gioia, vita, è così che Daniela pensa al suo cagnolino e a tutti gli amici che raccoglie in giro per trovare loro una sistemazione. Una lavoratrice senza associazione, dice lei (che nella vita, in realtà, ha un’impresa che si occupa di escursioni e gite in jeep per l’isola), una ragazza che, tanto tempo fa, ha lasciato aperta la porta di casa invece di sbatterla sul muso come succede alle migliaia di animali abbondonati lungo le strade che si vedono spalancare lo sportello di un’auto che li lascerà alle spalle, fanalini di coda di un amore che, invece, ti salva la vita.