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I numeri dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) parlano chiaro: oggi oltre tre milioni di italiani vivono a 5 anni di distanza dalla diagnosi di tumore. Ben il 24% in più rispetto a quello che accadeva nel solo 2010. Il merito è essenzialmente della diagnosi precoce –quando si arriva a diagnosticare la malattia agli stadi iniziali le probabilità di guarigione sono molto più alte- e di terapie sempre più efficaci. Ed è proprio grazie a queste ultime che oggi –se proprio non si riesce a guarire- alcune forme di cancro possono essere considerate malattie croniche a tutti gli effetti.

Una svolta chiamata immunoterapia

Da alcuni anni a questa parte la lotta ai tumori è stata rivoluzionata dall’immunoterapia. L’idea alla base di questo approccio è quella di sfruttare l’innata capacità del sistema immunitario di riconoscere il cancro. Quest’ultimo, però, grazie a particolari meccanismi, spegne la risposta immunitaria e prolifera.

Ecco perché agire dall’esterno, mantenendo attiva la risposta, rappresenta una strategia vincente. A fare da apripista all’immunoterapia è stato il melanoma, un tumore che quando era in metastasi lasciava poche speranze. La situazione è radicalmente cambiata con l’avvento dei primi farmaci capaci di agire sui meccanismi che regolano il sistema immunitario. Da quel momento in poi è stato un susseguirsi di risultati positivi.

Oggi grazie all’immunoterapia è possibile in molti casi tenere sotto controllo la malattia di fatto cronicizzandola. Ciò non è più solo valido per il melanoma ma lo è anche, ad esempio, per il tumore del polmone dove grazie a questo approccio sempre più malati riescono a rispondere positivamente alle cure.

La rivoluzione portata dalla terapia genica: il caso recente del Bambin Gesù

Ma se fino ad oggi, per ottenere questi risultati, gli scienziati hanno somministrato farmaci che vanno ad agire sulla superficie delle cellule immunitarie al fine di togliere quei freni che ne limitavano la risposta, ora grazie alla possibilità di manipolare il Dna le istruzioni possono essere trasferite direttamente all’interno delle cellule immunitarie.

Ed è questo il caso della CAR-T, sperimentata dal 2012 e utilizzata (una sua evoluzione) nei giorni scorsi dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù per la cura di un bimbo affetto da leucemia linfoblastica acuta in cui i precedenti tentativi con la chemioterapia avevano fallito. Attualmente questo approccio è utilizzato nella cura dei tumori del sangue come leucemie, linfomi e mielomi.

La ricerca avanza però a passo spedito e nel mondo sono diverse le sperimentazioni in atto per quanto riguarda i tumori solidi come quelli del fegato, del pancreas, dell’ovaio, il neuroblastoma e il mesotelioma. In questi casi sicurezza ed efficacia rispetto alle terapie disponibili sono ancora da dimostrare e non rappresentano la prima scelta di cura.

I farmaci apripista

Attenzione però a pensare che questa soluzione sia valida ed efficace per tutti i tumori. Secondo le ultime statistiche a beneficiare dell’immunoterapia sarebbero circa la metà delle persone che vi si sottopongono. Ecco perché gli scienziati sono ora all’opera nel tentativo di aumentare questa percentuale. Per fare ciò la strategia che maggiormente viene percorsa è quella che prevede lo sviluppo di molecole capaci di fare da «apripista» all’immunoterapia. Ma non è finita qui perché per rendere il tumore maggiormente riconoscibile la ricerca si sta concentrando verso la creazione di molecole capaci di agire sull’epigenoma del tumore in modo da modificarne l’espressione genica portandolo, di fatto, ad essere più facilmente raggiungibile.

Scegliere le terapie sulla base del Dna tumorale

Anche se l’immunoterapia sta rivoluzionando la cura del cancro, chirurgia, radio e chemioterapia sono armi a disposizione necessarie e altrettanto valide. Ciò che acquisterà sempre più importanza invece sarà l’analisi genetica del tumore. Potendo disporre della “carta di identità” della malattia sarà possibile scegliere il farmaco giusto.

@danielebanfi83

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