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È considerato l’ormone della felicità, il fulcro attorno al quale ruotano i meccanismi alla base e delle possibili vie di guarigione dalla depressione. La serotonina deve essere disponibile a sufficienza, per evitare il brusco e persistente calo dell’umore: tratto comune alle diverse forme depressive. Ma il deficit del neurotrasmettitore può determinare anche altri disturbi psichici.

È il caso del disturbo bipolare, una malattia che riguarda l’alterazione del tono dell’umore ed è caratterizzata dall’alternanza più o meno regolare di episodi di depressione maggiore ed episodi di mania (bipolare tipo 1) o di ipomania (bipolare tipo 2). A trovare i riscontri di questo possibile scenario è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa, autore di uno studio pubblicato sulla rivista «Scientific Reports»: il primo a mostrare l’esistenza di un legame causale fra la riduzione dei livelli di serotonina nel cervello e l’insorgenza del disturbo bipolare.

Meno serotonina avvicina alla sindrome bipolare?

I ricercatori hanno condotto lo studio attraverso una sperimentazione su modelli animali e così hanno visto che i topi a cui veniva inibita la produzione di serotonina mostravano comportamenti, come per esempio la perdita del senso del rischio, assimilabili a quelli delle persone in fase maniacale. Se però agli stessi animali veniva somministrato l’acido valproico, un farmaco comunemente usato per la cura del disturbo bipolare, ecco che i loro tratti comportamentali alterati si normalizzavano.

Oltre all’analisi comportamentale, i ricercatori hanno condotto lo studio anche nelle cellule nell’ippocampo, dove i geni sono risultati più attivi proprio in corrispondenza della fase maniacale. «Il nostro studio ha permesso di associare il deficit di serotonina allo sviluppo di sintomi riconducibili alla sindrome maniacale - spiega Massimo Pasqualetti, docente di biologia dello sviluppo e neuroscienze dell’ateneo toscano, coordinatore della ricerca -. Abbiamo dimostrato che la cosiddetta molecola della felicità è fondamentale per attenuare lo stress dettato da fattori di origine ambientale, mentre senza di essa il nostro cervello è più attivo: da qui appunto la fase maniacale che fa da contraltare alla depressione».

Dalla depressione alla mania

Il disturbo bipolare può essere gestito nell’episodio acuto, ma solitamente nel tempo tende a ripresentarsi. Significa che occorre curarsi per tutta la vita? Non propriamente. La terapia va protratta per i mesi in cui è più probabile rimanere vittime di una ricaduta. Se ci sono state molte recidive, allora si può pensare a una lunga cura di mantenimento con stabilizzatori dell’umore.

Prevedendo il passaggio da una forma depressiva maggiore a episodi di mania, i segni del disturbo sono molto eterogenei. Nel primo caso, il problema emerge attraverso la tristezza, una marcata diminuzione degli interessi, un crescente senso di colpa, l’indecisione e la ridotta capacità di concentrarsi. Condizioni a cui si accompagnano sintomi fisici quali l’insonnia, la brusca variazione dell’appetito, il senso di pesantezza alle gambe e un rallentamento generale nelle attività. La mania è invece riconoscibile attraverso il ridotto bisogno di dormire, la spinta a parlare molto e in maniera rapida, l’aumento dell’autostima. Tutte alterazioni che possono sparire nell’arco di un mese, ricorrendo all’utilizzo di antidepressivi e stabilizzatori dell’umore.

Twitter @fabioditodaro