Caccia ai superpoteri guaritivi nel genoma dell’Axolotl, strana creatura dalle sembianze di pesce con le zampe, dotata di una capacità straordinaria: è in grado di rigenerare senza cicatrici quasi tutte le parti del suo corpo. Ed è per questo talento che la salamandra messicana è finita sotto la lente dei ricercatori che stanno costruendo mappe sempre più dettagliate del suo Dna.
Una leggenda azteca la dipinge come un dio che si trasformò per evitare un sacrificio. La sua corona di branchie, la pinna caudale affusolata, il suo colore che può essere rosa pallido, ma anche dorato, grigio o nero e un muso che sembra perennemente sorridere, sono caratteristiche talmente uniche che solleticano l’immaginazione di molti.
Sebbene il suo futuro sia incerto per via del degrado del suo habitat e oggi lo si trovi in natura solo nei canali del lago Xochimilco, nell’estremo sud di Città del Messico, esemplari di axolotl in cattività prosperano nei laboratori di tutto il mondo.
Gli autori di uno studio pubblicato sulla rivista scientifica «Genome Research» e rimbalzato online sul «New York Times» hanno esplorato a fondo il suo genoma e questo lavoro, che ha dato come risultato la mappa più completa oggi disponibile dei suoi geni, spiana la strada a potenziali progressi nella medicina rigenerativa umana, assicurano gli esperti.
Le salamandre sono campionesse nel rigenerare parti del corpo perdute. Gli esseri umani, insieme con altri mammiferi, possono rigenerare abbozzi di arti persi quando sono ancora embrioni. Da piccoli, possiamo far ricrescere la punta delle dita; i topi possono farlo anche da adulti. Ma le salamandre si distinguono come gli unici vertebrati in grado di sostituire parti del corpo complesse che sono perse a qualsiasi età.
Finché non gli viene tagliata la testa, la capacità rigenerativa dell’axolotl sembra quasi illimitata: è in grado di «produrre una replica quasi perfetta» di ogni angolo del suo organismo, fino a metà cervello, evidenzia uno degli autori della ricerca Jeremiah Smith dell’Univerisity of Kentucky. Il team ha cercato di capire come si sono evoluti questi superpoteri di guarigione.
L’impresa non è da poco: il Dna dell’Axolotl è gigante, 10 volte la dimensione del genoma umano, ha spiegato un’altra autrice dello studio Melissa Keinath, Carnegie Institution for Science di Baltimora. Quella sovrabbondanza di DNA ripetitivo è sempre stato il problema. Per leggere la sequenza del genoma di un organismo, gli scienziati devono ridurre il DNA in pezzi, e poi ricomporre quei pezzi come in un puzzle. Ebbene, partendo da uno studio precedente il team ha mappato oltre 100 mila pezzi di Dna sui cromosomi, utilizzando un approccio ultra avanzato.
Tracciando modelli di ereditarietà genetica attraverso 48 esemplari «ibridi» di seconda generazione, i ricercatori sono stati in grado di dedurre quali sequenze di Dna appartenevano agli Axolotl e dove fisicamente si collocavano lungo i 14 cromosomi dell’anfibio. Nel corso del lavoro di composizione del «puzzle genomico» gli scienziati hanno identificato anche una mutazione che causa un difetto cardiaco comunemente studiato negli axolotl.
Lo studio è un punto di partenza: sapere come il Dna è posizionato lungo i cromosomi «consente di iniziare a pensare alle funzioni e al modo in cui i geni sono regolati», afferma Randal Voss, docente di neuroscienze dell’università del Kentucky. La sfida: capire se esistono modi percorribili per «rendere gli umani più simili agli axolotl».