Un test rapido - di utilizzo più semplice, oltre che maggiormente economico rispetto a quelli già esistenti - per valutare la carica virale nei bambini affetti da HIV (il virus che può provocare l'Aids). Una prospettiva nuova, che presto potrebbe essere garantita soprattutto alle famiglie dei Paesi più poveri, in cui la malattia è ancora molto presente: anche tra i più piccoli. Nei mesi del Covid-19, una buona notizia è giunta da uno studio pubblicato sulla rivista «The Lancet HIV». A vergarlo, un gruppo di ricercatori dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, che hanno messo a punto il test che permetterà di rilevare la «quota» di virus in grado di permanere all’interno delle cellule anche dopo aver sottoposto i pazienti alla terapia antiretrovirale. Un passaggio necessario per valutare l’efficacia delle cure e, di seguito, la possibilità di inserire i bambini ancora positivi in nuove sperimentazioni, con l’obbiettivo di giungere all’eliminazione totale del virus.
Come funziona il nuovo test
L'uso di questi test nei Paesi in via di sviluppo, dove si concentra la maggior parte di casi pediatrici, è stato finora minimo. Il limite principale al loro utilizzo è rappresentato dai costi, dalla quantità di sangue che queste analisi richiedono e dalla loro difficile applicabilità nelle zone meno attrezzate da un punto di vista clinico e ospedaliero. Basti pensare che la maggior parte di questi sono di virologia molecolare. Vuol dire che, dopo il prelievo di sangue, servono diversi passaggi di laboratorio per isolare le componenti ematiche, lavorarle e analizzare i risultati con complessi software bio-informatici. Per avere la risposta, passano almeno diversi giorni. Con il nuovo test ideato dall’equipe di immunoinfettivologia del Bambin Gesù, invece, il risultato sarà praticamente istantaneo. Il kit consiste in una piccola striscia (o stick) di plastica rigida, su cui sono apposte determinate sostanze di reazione, come quelle usate per il monitoraggio domestico (per esempio della glicemia). La striscia è numerata da 0 (minima carica virale residua) a 10 (quella massima). Basta una goccia di sangue del paziente e, in pochi minuti, le tacche corrispondenti alla carica virale rilevata si colorano.
Sensibilità superiore al 95 per cento
Il vantaggio di un test di così facile utilizzo è quello di poter utilizzarlo anche in condizioni difficili, come all’interno di un ospedale da campo o in un camper medico. Indubbia anche la sensibilità. Nella sperimentazione, condotta su 330 pazienti colpiti da un’infezione verticale (trasmessa atravverso la mamma durante la gravidanza), il test è stato in grado di rilevare la carica virale residua in oltre il 95 per cento dei casi. «Questa nuova strategia di screening rappresenta un'importante innovazione per definire quali bambini arruolare in protocolli per la cura dell'HIV-1 - spiega Paolo Palma, responsabile dell’unità di ricerca in infezioni congenite e perinatali del Bambin Gesù -. Come, per esempio, il vaccino terapeutico pediatrico messo a punto in collaborazione col Karolinska Instituet di Stoccolma. I risultati permettono infatti di ricostruire la storia clinica dei singoli pazienti che spesso, nei Paesi in via di sviluppo o molto poveri, non posseggono una vera e propria cartella clinica».
Twitter @fabioditodaro
Un test rapido - di utilizzo più semplice, oltre che maggiormente economico rispetto a quelli già esistenti - per valutare la carica virale nei bambini affetti da HIV (il virus che può provocare l'Aids). Una prospettiva nuova, che presto potrebbe essere garantita soprattutto alle famiglie dei Paesi più poveri, in cui la malattia è ancora molto presente: anche tra i più piccoli. Nei mesi del Covid-19, una buona notizia è giunta da uno studio pubblicato sulla rivista «The Lancet HIV». A vergarlo, un gruppo di ricercatori dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, che hanno messo a punto il test che permetterà di rilevare la «quota» di virus in grado di permanere all’interno delle cellule anche dopo aver sottoposto i pazienti alla terapia antiretrovirale. Un passaggio necessario per valutare l’efficacia delle cure e, di seguito, la possibilità di inserire i bambini ancora positivi in nuove sperimentazioni, con l’obbiettivo di giungere all’eliminazione totale del virus.
Come funziona il nuovo test
L'uso di questi test nei Paesi in via di sviluppo, dove si concentra la maggior parte di casi pediatrici, è stato finora minimo. Il limite principale al loro utilizzo è rappresentato dai costi, dalla quantità di sangue che queste analisi richiedono e dalla loro difficile applicabilità nelle zone meno attrezzate da un punto di vista clinico e ospedaliero. Basti pensare che la maggior parte di questi sono di virologia molecolare. Vuol dire che, dopo il prelievo di sangue, servono diversi passaggi di laboratorio per isolare le componenti ematiche, lavorarle e analizzare i risultati con complessi software bio-informatici. Per avere la risposta, passano almeno diversi giorni. Con il nuovo test ideato dall’equipe di immunoinfettivologia del Bambin Gesù, invece, il risultato sarà praticamente istantaneo. Il kit consiste in una piccola striscia (o stick) di plastica rigida, su cui sono apposte determinate sostanze di reazione, come quelle usate per il monitoraggio domestico (per esempio della glicemia). La striscia è numerata da 0 (minima carica virale residua) a 10 (quella massima). Basta una goccia di sangue del paziente e, in pochi minuti, le tacche corrispondenti alla carica virale rilevata si colorano.
Sensibilità superiore al 95 per cento
Il vantaggio di un test di così facile utilizzo è quello di poter utilizzarlo anche in condizioni difficili, come all’interno di un ospedale da campo o in un camper medico. Indubbia anche la sensibilità. Nella sperimentazione, condotta su 330 pazienti colpiti da un’infezione verticale (trasmessa atravverso la mamma durante la gravidanza), il test è stato in grado di rilevare la carica virale residua in oltre il 95 per cento dei casi. «Questa nuova strategia di screening rappresenta un'importante innovazione per definire quali bambini arruolare in protocolli per la cura dell'HIV-1 - spiega Paolo Palma, responsabile dell’unità di ricerca in infezioni congenite e perinatali del Bambin Gesù -. Come, per esempio, il vaccino terapeutico pediatrico messo a punto in collaborazione col Karolinska Instituet di Stoccolma. I risultati permettono infatti di ricostruire la storia clinica dei singoli pazienti che spesso, nei Paesi in via di sviluppo o molto poveri, non posseggono una vera e propria cartella clinica».
Twitter @fabioditodaro