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Uno studio di qualche anno fa condotto da Microsoft in Canada ha rivelato che la capacità di concentrazione di un essere umano è mediamente di soli 8 secondi. Restare concentrati però è fondamentale per studiare e per eseguire correttamente le mansioni da svolgere ogni giorno da quelle lavorative a quelle ricreative.

Come si può definire la concentrazione e perché ci si deconcentra tanto facilmente? «In realtà sui testi di psicologia non si trova mai una definizione di concentrazione – spiega Costanza Papagno, docente di Psicologia fisiologica dell’Università di Milano-Bicocca. L’APA (American Psychological Association) definisce la concentrazione come l’atto di “mettere insieme o focalizzare, come, per esempio, convogliare i propri processi mentali su un soggetto o su un problema centrale”».

Attenzione sostenuta e focale

La professoressa Papagno precisa: «Si distingue fra attenzione sostenuta e attenzione focale o selettiva. In genere la “concentrazione” è mantenere l’attenzione sostenuta ma anche focalizzata su un contenuto. L’attenzione sostenuta identifica la capacità di mantenere un’attenzione protratta per un periodo utile. L’attenzione sostenuta, quindi è la capacità che permette di apprendere e memorizzare ciò che viene a contatto con gli organi sensoriali. L’attenzione focale o selettiva è quella che allontana ogni possibile fonte elemento irrilevante, fonte di distrazione».

Quali sono i segnali di deconcentrazione

Capita che non si riesca a capire che il problema dell’inconcludenza a lavoro, a scuola, nello studio, ma anche in una qualunque altra situazione dipenda dalla deconcentrazione. Segnali chiari di mancanza di concentrazione sono il non ricordare cosa si è appena letto (se si sta studiando), perdere continuamente le cose o non ricordarsi dove si mettono oggetti di uso quotidiano, la scarsa precisione anche nell’esecuzione di operazioni semplici e consolidate, controllo frequente di posta elettronica e smartphone, giocherellare nervosamente con qualunque oggetto ci si ritrovi a portata di mano.
«La mancata concentrazione o meglio il non riuscire a mantenere l’attenzione sostenuta e focale – chiarisce ancora la professoressa Papagno - dipende in genere da patologie che interessano la regione più anteriore del cervello, il lobo frontale o, ancor più precisamente, la regione prefrontale, ma può verificarsi anche in corso di patologie internistiche, anche banali influenze, come è capitato a tutti di verificare. È da considerarsi patologica quando interferisce in maniera significativa con la vita di tutti i giorni, e non invece al termine di una giornata di lavoro faticosa, in maniera occasionale, oppure quando si è preoccupati per altri motivi e magari qualche pensiero intrusivo continua a perseguitarci. È anche probabilmente patologica quando si accompagna ad altri sintomi cognitivi, come frequente difficoltà a trovare le parole, anche di uso comune o si associa a importanti variazioni del tono dell’umore».

Esistono sostanze che aiutano realmente la capacità di concentrazione?

«Da un punto di vista biologico, i processi cognitivi sono piuttosto complessi e molto “esigenti” per il nostro organismo. Le cellule protagoniste di questi processi, ovvero i neuroni, sfruttano l’attività di diversi neurotrasmettitori, i principali dei quali sono rappresentati da acetilcolina, dopamina, norepinefrina e serotonina. Questi neurotrasmettitori veicolano l’informazione fra i neuroni e possono essere “riutilizzati” dal nostro organismo, ma per un numero limitato di volte.- Chiarisce Cristina Airoldi, docente di Chimica organica dell’Università di Milano-Bicocca che aggiunge - Il loro esaurimento comporta una serie di conseguenze, tra cui le difficoltà di concentrazione, quelle di apprendimento, nonché deficit mnemonici, ragion per cui, al fine di sostenere il nostro pensiero e le nostre attività cognitive, dobbiamo reintegrarli».

«Esistono delle sostanze che promuovono la produzione dei neurotrasmettitori, fornendo al nostro organismo i precursori e i cofattori di cui esso necessita per la loro biosintesi - spiega la professoressa Airoldi - Alcuni di questi sono farmaci, da assumere dietro prescrizione medica e nei casi in cui si configuri uno specifico quadro patologico. Altre invece sono sostanze naturali, che vengono prodotte dall’organismo oppure vengono assunte con la dieta».

Se quindi l’alimentazione non è completa di tutti i macro e i micronutrienti può palesarsi la carenza come chiarisce ancora la professoressa Airoldi. Fra le molecole che migliorano le capacità di attenzione noveriamo i precurosi dell’acetilcolina, come l’acetil-l-carnitina, la colina e la vitamina B5 (acido pantotenico). Come pure gli amminoacidi essenziali (che devono essere necessariamente assunti attraverso la dieta) fenilalanina e tirosina, insieme con le vitamine B6 e C, e che sono richiesti per la produzione di dopamina. Un altro amminoacido essenziale, molto importante è il triptofano, che infatti è precursore nella biosintesi della serotonina, che richiede anch’essa le vitamine B6 e C».

Smart drug

In generale tutte le molecole che possono migliorare le capacità di attenzione vengono etichettate come sostanze nootrope in alcuni contesti sono chiamate anche “smart drugs” o “smart nutrients” ovvero composti che agiscono su tre livelli ovvero aumentando il rilascio di agenti neurochimici (neurotrasmettitori, enzimi e ormoni), migliorando l'apporto di ossigeno al cervello o stimolando la crescita e la connettività delle cellule nervose.

«Spesso la combinazione di queste “azioni benefiche” viene ottenuta, oltre che attraverso una dieta sana e variegata, mediante l’assunzione di opportuni integratori alimentari che contengono miscele di composti. Acetil-L-carnitina, acido lipoico, creatinina, cromo, coenzima Q10 forniscono energia al nostro cervello, promuovendo anche l’apporto di ossigeno ai neuroni - chiarisce la professoressa Airoldi - Uno dei composti noonotropi per antonomasia è poi la caffeina capace di interagire con i recettori cerebrali dell'adenosina, neurorecettore che ha il compito di regolare il rilassamento ed il sonno. La caffeina contenuta nel caffè e nel tè inibisce questi recettori e ci rende più vigili e attenti. Al tempo stesso, l’assunzione di caffeina aumenta anche le quantità di dopamina ed adrenalina nel corpo. La teanina (diversa dalla teina, che è sinonimo di caffeina), altra sostanza presente nel tè, è un amminoacido che aumenta i livelli di serotonina e dopamina nel cervello.

Da non sottovalutare, in questo contesto, è il contributo dell’attività fisica. L'esercizio cardiovascolare effettuato regolarmente, potenziando la circolazione del sangue anche al cervello, aumenta l’apporto di ossigeno e glucosio, i due componenti essenziali al buon funzionamento delle cellule cerebrali. In conclusione, la ricetta migliore per “supportare” la nostra concentrazione da un punto di vista fisiologico è rappresentata dalla combinazione sinergica di esercizio fisico e dieta sana ed equilibrata».

Uno studio di qualche anno fa condotto da Microsoft in Canada ha rivelato che la capacità di concentrazione di un essere umano è mediamente di soli 8 secondi. Restare concentrati però è fondamentale per studiare e per eseguire correttamente le mansioni da svolgere ogni giorno da quelle lavorative a quelle ricreative.

Come si può definire la concentrazione e perché ci si deconcentra tanto facilmente? «In realtà sui testi di psicologia non si trova mai una definizione di concentrazione – spiega Costanza Papagno, docente di Psicologia fisiologica dell’Università di Milano-Bicocca. L’APA (American Psychological Association) definisce la concentrazione come l’atto di “mettere insieme o focalizzare, come, per esempio, convogliare i propri processi mentali su un soggetto o su un problema centrale”».

Attenzione sostenuta e focale

La professoressa Papagno precisa: «Si distingue fra attenzione sostenuta e attenzione focale o selettiva. In genere la “concentrazione” è mantenere l’attenzione sostenuta ma anche focalizzata su un contenuto. L’attenzione sostenuta identifica la capacità di mantenere un’attenzione protratta per un periodo utile. L’attenzione sostenuta, quindi è la capacità che permette di apprendere e memorizzare ciò che viene a contatto con gli organi sensoriali. L’attenzione focale o selettiva è quella che allontana ogni possibile fonte elemento irrilevante, fonte di distrazione».

Quali sono i segnali di deconcentrazione

Capita che non si riesca a capire che il problema dell’inconcludenza a lavoro, a scuola, nello studio, ma anche in una qualunque altra situazione dipenda dalla deconcentrazione. Segnali chiari di mancanza di concentrazione sono il non ricordare cosa si è appena letto (se si sta studiando), perdere continuamente le cose o non ricordarsi dove si mettono oggetti di uso quotidiano, la scarsa precisione anche nell’esecuzione di operazioni semplici e consolidate, controllo frequente di posta elettronica e smartphone, giocherellare nervosamente con qualunque oggetto ci si ritrovi a portata di mano.
«La mancata concentrazione o meglio il non riuscire a mantenere l’attenzione sostenuta e focale – chiarisce ancora la professoressa Papagno - dipende in genere da patologie che interessano la regione più anteriore del cervello, il lobo frontale o, ancor più precisamente, la regione prefrontale, ma può verificarsi anche in corso di patologie internistiche, anche banali influenze, come è capitato a tutti di verificare. È da considerarsi patologica quando interferisce in maniera significativa con la vita di tutti i giorni, e non invece al termine di una giornata di lavoro faticosa, in maniera occasionale, oppure quando si è preoccupati per altri motivi e magari qualche pensiero intrusivo continua a perseguitarci. È anche probabilmente patologica quando si accompagna ad altri sintomi cognitivi, come frequente difficoltà a trovare le parole, anche di uso comune o si associa a importanti variazioni del tono dell’umore».

Esistono sostanze che aiutano realmente la capacità di concentrazione?

«Da un punto di vista biologico, i processi cognitivi sono piuttosto complessi e molto “esigenti” per il nostro organismo. Le cellule protagoniste di questi processi, ovvero i neuroni, sfruttano l’attività di diversi neurotrasmettitori, i principali dei quali sono rappresentati da acetilcolina, dopamina, norepinefrina e serotonina. Questi neurotrasmettitori veicolano l’informazione fra i neuroni e possono essere “riutilizzati” dal nostro organismo, ma per un numero limitato di volte.- Chiarisce Cristina Airoldi, docente di Chimica organica dell’Università di Milano-Bicocca che aggiunge - Il loro esaurimento comporta una serie di conseguenze, tra cui le difficoltà di concentrazione, quelle di apprendimento, nonché deficit mnemonici, ragion per cui, al fine di sostenere il nostro pensiero e le nostre attività cognitive, dobbiamo reintegrarli».

«Esistono delle sostanze che promuovono la produzione dei neurotrasmettitori, fornendo al nostro organismo i precursori e i cofattori di cui esso necessita per la loro biosintesi - spiega la professoressa Airoldi - Alcuni di questi sono farmaci, da assumere dietro prescrizione medica e nei casi in cui si configuri uno specifico quadro patologico. Altre invece sono sostanze naturali, che vengono prodotte dall’organismo oppure vengono assunte con la dieta».

Se quindi l’alimentazione non è completa di tutti i macro e i micronutrienti può palesarsi la carenza come chiarisce ancora la professoressa Airoldi. Fra le molecole che migliorano le capacità di attenzione noveriamo i precurosi dell’acetilcolina, come l’acetil-l-carnitina, la colina e la vitamina B5 (acido pantotenico). Come pure gli amminoacidi essenziali (che devono essere necessariamente assunti attraverso la dieta) fenilalanina e tirosina, insieme con le vitamine B6 e C, e che sono richiesti per la produzione di dopamina. Un altro amminoacido essenziale, molto importante è il triptofano, che infatti è precursore nella biosintesi della serotonina, che richiede anch’essa le vitamine B6 e C».

Smart drug

In generale tutte le molecole che possono migliorare le capacità di attenzione vengono etichettate come sostanze nootrope in alcuni contesti sono chiamate anche “smart drugs” o “smart nutrients” ovvero composti che agiscono su tre livelli ovvero aumentando il rilascio di agenti neurochimici (neurotrasmettitori, enzimi e ormoni), migliorando l'apporto di ossigeno al cervello o stimolando la crescita e la connettività delle cellule nervose.

«Spesso la combinazione di queste “azioni benefiche” viene ottenuta, oltre che attraverso una dieta sana e variegata, mediante l’assunzione di opportuni integratori alimentari che contengono miscele di composti. Acetil-L-carnitina, acido lipoico, creatinina, cromo, coenzima Q10 forniscono energia al nostro cervello, promuovendo anche l’apporto di ossigeno ai neuroni - chiarisce la professoressa Airoldi - Uno dei composti noonotropi per antonomasia è poi la caffeina capace di interagire con i recettori cerebrali dell'adenosina, neurorecettore che ha il compito di regolare il rilassamento ed il sonno. La caffeina contenuta nel caffè e nel tè inibisce questi recettori e ci rende più vigili e attenti. Al tempo stesso, l’assunzione di caffeina aumenta anche le quantità di dopamina ed adrenalina nel corpo. La teanina (diversa dalla teina, che è sinonimo di caffeina), altra sostanza presente nel tè, è un amminoacido che aumenta i livelli di serotonina e dopamina nel cervello.

Da non sottovalutare, in questo contesto, è il contributo dell’attività fisica. L'esercizio cardiovascolare effettuato regolarmente, potenziando la circolazione del sangue anche al cervello, aumenta l’apporto di ossigeno e glucosio, i due componenti essenziali al buon funzionamento delle cellule cerebrali. In conclusione, la ricetta migliore per “supportare” la nostra concentrazione da un punto di vista fisiologico è rappresentata dalla combinazione sinergica di esercizio fisico e dieta sana ed equilibrata».