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La quarantena ha rovinato il già fragile sonno degli italiani. Il confinamento, se da un lato è stato essenziale per ridurre il numero di contagi, ha avuto infatti un grande impatto sulla salute salute psico-fisica. Una conseguenza che, come dimostrato da un gruppo di ricercatori dell’ateneo di Padova e dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli di Napoli, ha finito per impoverire (qualitativamente) il nostro riposo notturno. Ciò nonostante il tempo trascorso a letto, in molti casi, sia aumentato. Un surplus che - come dimostra la fatica che oggi segnalano in molti, nel riprendere gradualmente la vecchia routine - non è però bastato a farci riposare.

L'impatto del lockdown sul sonno

I ricercatori hanno posto una serie di domande a 1.310 persone (18-35 anni) chiedendo quale fosse stata la qualità del loro riposo notturno nella prima settimana di febbraio (in assenza di misure restrittive) e in quella compresa tra il 17 e il 23 marzo (la seconda di lockdown completo). Ai partecipanti, suddivisi in due campioni (studenti universitari e lavoratori) è stato chiesto di indicare quale fossero l’orario medio in cui andavano a letto e quello di risveglio, la loro difficoltà ad addormentarsi, quanto il loro sonno era percepito come riposante.

Inoltre sono state fatte domande sull’uso della tecnologia prima di andare a dormire e sulla loro percezione dello scorrere del tempo. Obbiettivo: caratterizzare i cambiamenti di abitudine e la percezione dei propri ritmi durante la quarantena. Dallo studio. pubblicato sul «Journal of Sleep Research Research» , è emerso che la ridotta attività fisica e la scarsa esposizione alla luce solare, l’assenza di attività sociali, le paure per il contagio e per la situazione economica, il cambiamento di vita familiare hanno portato a un peggioramento della qualità del sonno, un netto cambiamento nei ritmi sonno-veglia, un incremento nell’uso dei media digitali e a una distorta percezione del tempo che scorre.

Abbiamo dormito di più, ma peggio

«Già dai primi giorni di lockdown risultava evidente come le persone lamentassero difficoltà legate al sonno e avessero problemi a tenere traccia del tempo che scorreva - afferma Nicola Cellini, docente di psicologia generale all’Università di Padova e prima firma della pubblicazione -. Noi ci siamo chiesti prima di tutto quale fosse lo stato di salute mentale delle persone e se questo aumento di uso degli strumenti digitali, quasi obbligatori in assenza di contatti sociali fisici, potesse influenzare i ritmi e la qualità del sonno.

Quanto al sonno, l’orario in cui le persone andavano a dormire è rimasto pressoché lo stesso, mentre diversi lavoratori si sono svegliati più tardi, durante il lockdown. Ma nonostante le persone passassero più tempo a letto, la qualità del sonno è peggiorata: in particolare tra coloro che mostravano sintomi depressivi, ansia e stress». Non pochi, stando ai dati emersi dall'indagine. Quasi 1 persona su 5 ha infatti mostrato sintomi depressivi, 1 su 3 manifestazioni d’ansia e 1 su 2 (sia i lavoratori sia gli studenti) è risultato molto stressato.

L'altra faccia dei media digitali

Nonostante le persone utilizzassero maggiormente i media digitali nelle due ore prima di andare a dormire (+14.8 per cento), a differenza di quanto ipotizzato, questo uso della tecnologia non ha influenzato il peggioramento della qualità del sonno, ma soltanto il tempo impiegato ad addormentarsi, e l’orario di letto e risveglio.

«Questo dato - aggiunge Cellini - va interpretato nel contesto delle restrizioni nel quale, secondo noi, l’impatto della tecnologia sul sonno è stato secondario rispetto agli aspetti più psicologici legati a stress, ansia e fisiologici, come la riduzione di esposizione alla luce solare e delle attività fisiche. Paradossalmente, in questa situazione di emergenza il supporto sociale fornito da questi media può aver ridotto l’impatto psicofisiologico delle restrizioni perché social e media digitali tecnologici hanno mitigato gli effetti psicologici negativi». Per semplificare, le chiamate Skype a fidanzati, amici e compagni prima di andare a letto hanno ridotto le distanze sociali e i commenti su Whatsapp, Facebook o Instagram possono aver alleggerito il clima di quarantena.

Un periodo durante il quale, secondo lo psicologo, «le persone hanno mostrato difficoltà nel tenere traccia del tempo, confondendo spesso il giorno della settimana, del mese, o l’ora del giorno».

Twitter @fabioditodaro

La quarantena ha rovinato il già fragile sonno degli italiani. Il confinamento, se da un lato è stato essenziale per ridurre il numero di contagi, ha avuto infatti un grande impatto sulla salute salute psico-fisica. Una conseguenza che, come dimostrato da un gruppo di ricercatori dell’ateneo di Padova e dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli di Napoli, ha finito per impoverire (qualitativamente) il nostro riposo notturno. Ciò nonostante il tempo trascorso a letto, in molti casi, sia aumentato. Un surplus che - come dimostra la fatica che oggi segnalano in molti, nel riprendere gradualmente la vecchia routine - non è però bastato a farci riposare.

L'impatto del lockdown sul sonno

I ricercatori hanno posto una serie di domande a 1.310 persone (18-35 anni) chiedendo quale fosse stata la qualità del loro riposo notturno nella prima settimana di febbraio (in assenza di misure restrittive) e in quella compresa tra il 17 e il 23 marzo (la seconda di lockdown completo). Ai partecipanti, suddivisi in due campioni (studenti universitari e lavoratori) è stato chiesto di indicare quale fossero l’orario medio in cui andavano a letto e quello di risveglio, la loro difficoltà ad addormentarsi, quanto il loro sonno era percepito come riposante.

Inoltre sono state fatte domande sull’uso della tecnologia prima di andare a dormire e sulla loro percezione dello scorrere del tempo. Obbiettivo: caratterizzare i cambiamenti di abitudine e la percezione dei propri ritmi durante la quarantena. Dallo studio. pubblicato sul «Journal of Sleep Research Research» , è emerso che la ridotta attività fisica e la scarsa esposizione alla luce solare, l’assenza di attività sociali, le paure per il contagio e per la situazione economica, il cambiamento di vita familiare hanno portato a un peggioramento della qualità del sonno, un netto cambiamento nei ritmi sonno-veglia, un incremento nell’uso dei media digitali e a una distorta percezione del tempo che scorre.

Abbiamo dormito di più, ma peggio

«Già dai primi giorni di lockdown risultava evidente come le persone lamentassero difficoltà legate al sonno e avessero problemi a tenere traccia del tempo che scorreva - afferma Nicola Cellini, docente di psicologia generale all’Università di Padova e prima firma della pubblicazione -. Noi ci siamo chiesti prima di tutto quale fosse lo stato di salute mentale delle persone e se questo aumento di uso degli strumenti digitali, quasi obbligatori in assenza di contatti sociali fisici, potesse influenzare i ritmi e la qualità del sonno.

Quanto al sonno, l’orario in cui le persone andavano a dormire è rimasto pressoché lo stesso, mentre diversi lavoratori si sono svegliati più tardi, durante il lockdown. Ma nonostante le persone passassero più tempo a letto, la qualità del sonno è peggiorata: in particolare tra coloro che mostravano sintomi depressivi, ansia e stress». Non pochi, stando ai dati emersi dall'indagine. Quasi 1 persona su 5 ha infatti mostrato sintomi depressivi, 1 su 3 manifestazioni d’ansia e 1 su 2 (sia i lavoratori sia gli studenti) è risultato molto stressato.

L'altra faccia dei media digitali

Nonostante le persone utilizzassero maggiormente i media digitali nelle due ore prima di andare a dormire (+14.8 per cento), a differenza di quanto ipotizzato, questo uso della tecnologia non ha influenzato il peggioramento della qualità del sonno, ma soltanto il tempo impiegato ad addormentarsi, e l’orario di letto e risveglio.

«Questo dato - aggiunge Cellini - va interpretato nel contesto delle restrizioni nel quale, secondo noi, l’impatto della tecnologia sul sonno è stato secondario rispetto agli aspetti più psicologici legati a stress, ansia e fisiologici, come la riduzione di esposizione alla luce solare e delle attività fisiche. Paradossalmente, in questa situazione di emergenza il supporto sociale fornito da questi media può aver ridotto l’impatto psicofisiologico delle restrizioni perché social e media digitali tecnologici hanno mitigato gli effetti psicologici negativi». Per semplificare, le chiamate Skype a fidanzati, amici e compagni prima di andare a letto hanno ridotto le distanze sociali e i commenti su Whatsapp, Facebook o Instagram possono aver alleggerito il clima di quarantena.

Un periodo durante il quale, secondo lo psicologo, «le persone hanno mostrato difficoltà nel tenere traccia del tempo, confondendo spesso il giorno della settimana, del mese, o l’ora del giorno».

Twitter @fabioditodaro