Il cuore può fare le bizze, non «tenere il ritmo». Un problema soprattutto da anziani che, se riconosciuto e curato per tempo, oggi è piuttosto gestibile con la terapia anticoagulante. Ma i problemi possono insorgere quando invece la diagnosi di fibrillazione atriale non c’è o risulta tardiva. L’aritmia cardiaca è infatti uno dei fattori di rischio silenti dell’ictus cerebrale. E, si scopre attraverso le colonne dell’«European Heart Journal», può spianare la strada a un processo neurodegenerativo, anche senza che si sia manifestato un evento di natura vascolare qual è l’ictus.
Fibrillazione atriale in aumento
La fibrillazione atriale - palpitazioni, polso irregolare, mancanza di respiro, stanchezza, dolore toracico e vertigini i sintomi più frequenti - è la più diffusa forma di aritmia. Ne soffre oltre il dieci per cento degli over 80. Ma il dato più preoccupante è quello che vede quasi un anziano su 3 non trattato. È con un simile scenario che i rischi possono aumentare, se si considera che una quota compresa tra il 20 e il 30 per cento dei casi di ictus cerebrale si registra in persone già alle prese con un disturbo del ritmo cardiaco. A ciò occorre aggiungere il peso crescente che questo disturbo è destinato ad avere, con l’aumento della prospettiva di vita media. Secondo uno studio appena pubblicato sulla rivista «EP Europace», nel 2060 saranno 14 milioni i cittadini europei alle prese con la fibrillazione atriale. Un aumento significativo dei casi (+90 per cento rispetto al 2016) che vale come un monito per impegnarsi: tanto in chiave preventiva (controllo del peso e della pressione sanguigna, attività fisica, dieta equilibrata, consumi moderati o nulli di alcol, evitare il fumo: questi i consigli degli esperti) quanto al fine di accrescere i tassi di diagnosi precoce. Scoprire il disturbo in tempo può fare la differenza, viste le possibili conseguenze.
Fibrillazione atriale e demenze
Se i rischi legati alla possibile insorgenza di un ictus sono noti da tempo, oggi si scopre che questi pazienti possono andare incontro a una demenza anche senza essere stati vittime di un evento cerebrovascolare. Il dato emerge da una ricerca coreana condotta su oltre 262mila over 60, arruolati nello studio senza avere né la fibrillazione atriale né un processo degenerativo già in atto. Osservandoli per quasi un decennio, gli autori del lavoro hanno osservato che l’insorgenza dell’aritmia aumentava le probabilità di osservare nel tempo anche la comparsa di un processo neurodegenerativo (probabilmente di origine vascolare). E l’eventuale riscontro di un ictus non irrobustiva questo dato. Ciò equivale a dire, secondo Boyoung Joung, docente di cardiologia e medicina interna alla Yonsei University di Seoul, che «la fibrillazione atriale aumenta del 30 per cento il rischio di sviluppare una malattia come l’Alzheimer», indipendentemente dalla comparsa o meno di un ictus. Probabilità che può però calare drasticamente seguendo una terapia anticoagulante.
Quale associazione?
La ricerca, come affermato dagli stessi autori, «non ci permette di dire che la fibrillazione atriale può causare la demenza». L’associazione, invece, potrebbe essere determinata dalle alterazioni vascolari che si osservano a livello della circolazione sanguigna cerebrale dei pazienti con fibrillazione atriale. Da qui, può avere origine un processo neurodegenerativo di natura vascolare: in alcuni casi eventualmente accelerato da piccole ischemie asintomatiche, che di fatto privano però piccole aree del cervello del necessario apporto di sangue.
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