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All’improvviso la testa comincia a pulsare e fitte fortissime colpiscono la zona fra gli occhi e la tempia. Il dolore è intenso e debilitante, ma per fortuna di breve durata. Così viene descritto un tipico attacco di mal di testa d’aereo che può sorprendere in volo subito dopo il decollo ma ancor di più nella fase di atterraggio.

Il mal di testa d’aereo rientra nella famiglia della cefalea attribuita a disturbo dell’omeostasi. «Così viene classificata dall’International Headache Society perché, seppure ancora non sia ben chiara la causa scatenante, si ritiene che il dolore abbia a che fare con la differenza fra la pressione ambientale e quella nelle cavità dei seni paranasali durante il cambiamento di quota» spiega il neurologo Federico Mainardi, responsabile del Centro Cefalee dell’Ospedale SS. Giovanni e Paolo di Venezia.

«Non a caso, infatti, alcune persone che soffrono di cefalea attribuita al viaggio in aereo sperimentano un mal di testa simile durante la risalita in superficie dopo un’immersione subacquea, con maschera o bombole, o durante una rapida discesa in macchina dalle alte quote montane».

Insomma, situazioni diverse accomunate dallo squilibrio tra la pressione all’interno delle cavità nasali e quella atmosferica esterna.

LA FASE PIÙ DELICATA? L’ATTERRAGGIO

«Nella stragrande maggioranza dei casi – parliamo di oltre il 90% dei pazienti – il malessere, forte e intenso, si verifica durante l’atterraggio: il dolore cioè esplode quando l’aereo si abbassa di quota. Meno frequente è al decollo e ancora meno durante la fase di crociera» spiega Mainardi, che sulla rivista Cephalalgia illustra i risultati di un’indagine condotta su 200 pazienti.

In ogni caso, la fase del volo non influenza il tipo di dolore, che tipicamente esplode all’improvviso e tende a migliorare spontaneamente entro 30 minuti dal termine dell’ascesa o della discesa dell’aereo. «La comparsa degli attacchi, invece, avendo cause verosimilmente multifattoriali, è influenzata da diversi fattori, quali per esempio la conformazione anomala dei seni paranasali, la rapidità con cui avviene il cambio di quota, la differente pressurizzazione tra la cabina dell’aereo e le cavità nasali…».

I SINTOMI

Anche se ancora sono necessari ulteriori studi per indagare e comprendere i meccanismi sottostanti a un’esplosione di mal di testa d’aereo – il primo caso è stato descritto nel 2004 – le ricerche finora condotte sono riuscite a tracciarne un identikit identificandone le caratteristiche principali.

Gli esperti concordano nell’indicare che gli attacchi sono violenti, lancinanti e tipicamente unilaterali: sono localizzati nella regione fronto-orbitale, cioè in prossimità della fronte e di un occhio che, in pochissimi casi, va incontro anche a lacrimazione. «La lacrimazione è presente in circa il 10% dei casi esaminati nel nostro studio» spiega il neurologo, che chiarisce: «molto probabilmente l’occhio può lacrimare per il coinvolgimento del nervo trigemino che, come una sorta di interruttore, è coinvolto nella modulazione del dolore».

Chi è vittima del mal di testa di aereo non ha invece a che fare con nausea, vomito e altri sintomi tipici dell’emicrania, come, per esempio, sensibilità alla luce o al rumore.

Nella maggioranza dei casi le fitte alla testa scompaiono entro una mezzoretta. Per alcuni pazienti però, il malessere va oltre la fase acuta, e così si trovano a convivere con un’ulteriore fase di cefalea, di minore intensità, che può accompagnarli per qualche ora o al massimo un giorno.

«In ogni caso comunque, il disagio fisico ed emotivo è tale che oltre l’80% dei soggetti colpiti in volo dal mal di testa farebbe volentieri a meno di salire di nuovo su un aereo» puntualizza Mainardi.

COSA FARE E NON FARE DURANTE LA CRISI

I dati raccolti in una revisione che fa il punto sugli studi sul mal di testa d’aereo suggeriscono che l’assunzione di farmaci analgesici, in particolare antinfiammatori non steroidei come ibropufene o naprossene, oppure paracetamolo o i triptani (classe di farmaci tipicamente usati per combattere l’emicrania), può alleviare il dolore.

E a quanto pare, stando sempre alle dichiarazioni dei pazienti, questi farmaci se assunti almeno mezz’ora prima della prevista comparsa dell’attacco, possono contribuire anche a prevenirlo.

«Curiosamente però – puntualizza Mainardi –, nonostante l’intensità dell’attacco, dalla nostra indagine emerge che solo il 40% dei pazienti ricorre a una terapia farmacologica. Circa il 50% dei soggetti coinvolti attua invece manovre spontanee per cercare di alleviare il dolore, come comprimere la zona dolente, deglutire o effettuare manovre di ponzamento (la cosiddetta manovra di valsalva, cioè inspirazione profonda seguita da espirazione forzata a glottide chiusa: quella, per intenderci, che viene fatta per sturarsi le orecchie quando sono chiuse). Ma in realtà risultano di scarsa utilità».

«C’è invece chi trae giovamento dall’uso, prima di decollare, dei decongestionanti nasali, ma in definitiva sono necessari degli studi controllati per poter codificare le opportune procedure per il trattamento del mal di testa d’aereo».

RIVOLGERSI A UN MEDICO

A chi ha vissuto o dovesse vivere in quota una spiacevole esperienza di questo tipo, Mainardi consiglia di rivolgersi al medico per pianificare una visita specialistica con un neurologo, in un centro cefalee, e una visita otorinolaringoiatrica per poter escludere patologie croniche a carico dei seni paranasali. E mette in guardia: «Anche se chiunque può andare incontro alla cefalea da aereo, circa la metà dei soggetti presenta altre forme di cefalea, come per esempio l’emicrania senza aura e la cefalea di tipo tensivo. Conoscere eventuali fattori di rischio può aiutare ad affrontare un viaggio».

@simona_regina