A cura di: Ufficio Stampa Sorgente Genetica
La scelta del percorso di diagnosi prenatale è molto importante per ogni donna in gravidanza e questa deve essere effettuata con i consigli e il sostegno del proprio medico.
Per individuare la presenza di eventuali anomalie cromosomiche in gravidanza ci sono infatti diverse possibilità: i test prenatali non invasivi, come BiTest e Test del DNA fetale, o test invasivi, come per esempio l’amniocentesi.
Nello specifico, l’amniocentesi è un esame con cui viene rilevata la presenza di eventuali anomalie cromosomiche nel feto, sia numeriche che strutturali, responsabili di diverse malattie genetiche come la Sindrome di Down, la Sindrome di Edwards, la Sindrome di Patau, la Sindrome di Turner, la Sindrome di Klinefelter e molte altre.
L’amniocentesi è un esame diagnostico e restituisce un risultato certo sullo stato di salute del feto. Si effettua tramite un prelievo di liquido amniotico con una puntura del sacco amniotico stesso. 1 L’amniocentesi può essere precoce, ovvero eseguita tra la 16a e la 18a settimana di gestazione, oppure tardiva, ovvero dopo la 25° settimana. Si tratta di un esame ambulatoriale, per cui le pazienti possono rientrare a casa dopo l’esecuzione stando però a riposo per un giorno. Il liquido amniotico prelevato viene analizzato presso laboratori specifici e i risultati vengono restituiti dopo 15 giorni circa2.
L’esecuzione di questo esame invasivo porta con sé dei rischi, per questo è bene valutare se eseguirlo o no. Solitamente viene consigliato alle donne che hanno già eseguito un test di screening prenatale che è risultato positivo o a rischio, alle gestanti con un rischio elevato di anomalie cromosomiche, per familiarità con alcune di queste malattie, o alle donne che hanno un’età superiore ai 35 anni al momento della gravidanza. L’amniocentesi è suggerita anche nei casi in cui tramite ecografia, viene valutato un possibile rischio o se la donna incinta contrae qualche malattia infettiva, come la rosolia, la toxoplasmosi o il citomegalovirus2.
Le precauzioni circa l’effettuare l’amniocentesi deriva dal fatto che questo esame determina un rischio di aborto dell’1% circa3. Inoltre, i suoi risultati non possono essere ottenuti prima della 19esima settimana e l’eventuale scelta di interrompere una gravidanza in quest’epoca gestazionale potrebbe avere delle conseguenze psicologiche molto forti3. Tuttavia, l’amniocentesi in epoca precoce è più difficile per via di un limitato accesso con l’ago e può essere più complicato anche il successo delle colture per via del poco liquido amniotico prelevato e dei tempi più lunghi. Dato queste complicazioni la percentuale di rischio di aborto in caso di amniocentesi precoce sale del 2,3%3.
La futura mamma può considerare la possibilità di svolgere un esame di screening prenatale non invasivo al fine di conoscere precocemente e in maniera sicura come sta il proprio bambino. A differenza dei test invasivi, i test di screening sono sicuri per la mamma e per il feto e sono definiti “probabilistici”, in quanto restituiscono la percentuale di rischio per cui sia presente un’anomalia cromosomica. Il test del DNA fetale ad esempio, è un esame di screening prenatale non invasivo che si può effettuare già dalla 10a settimana di gravidanza. Questo test di ultima generazione ha un alto tasso di affidabilità nella rilevazione delle principali anomalie cromosomiche, pari al 99,9%.
Per questi motivi è vivamente consigliato valutare con il proprio ginecologo il perfetto percorso di screening per monitorare la salute di mamma e feto senza correre rischi.
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Fonti:
1. Ginecologia e ostetricia di F. Bombelli, M. Castiglioni; Società Editrice Esculapio; 2014
2. Fondazione Veronesi – www.fondazioneveronesi.it
3. Medicina dell’età prenatale: prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche – A.L. Borelli, D. Arduini, A.Cardone, V.Ventruto – P.58