Le degenerazioni tappeto-retiniche sono un vasto gruppo di malattie, variamente trasmesse dal punto di vista genetico(Deutman, 1971) con modalità autosomiche ed eterosomiche, dominanti o recessive, con localizzazione retinica centrale, periferica o mista,per lo più caratterizzate da progressive alterazioni funzionali (del visus, campimetriche, cromatiche, adattometriche), elettrofunzionali (elettrooculografiche, elettroretinografiche, dei potenziali visivi evocati) e naturalmente oftalmoscopiche nonché fluorangiografiche.
Fra le più note di queste malattie vogliamo qui ricordare la retinopatia pigmentaria (nelle sue varianti: con o senza pigmento, uni o bilaterale,completa o a settore, punteggiata albescente);
tra le forme a localizzazione prevalentemente periferica, la distrofia dei coni e la malattia di Stargardt; tra le forme a localizzazione centrale,il fundus fl avimaculatus e la distrofia dei coni edei bastoncelli fra le forme miste.
A tutt'oggi non sono ancora stati chiariti i meccanismi eziopatogenetici delle eredo-distrofie per le quali tuttavia si ipotizza per lo più un danno di natura abiotrofica a carico di uno o più strati retino-coroidali- SIRAVO (Wirth -Cavallacci, 1984); il neuroepitelio nella malattia di Stargardt, nella distrofia progressiva dei coni, nella retìnopatia pigmentaria e l'epitelio pigmentato nel fundus flavimaculatus (Deutman,1971).
Per la retinopatia pigmentosa, inoltre, è stata da taluni (Heredia e Coll., 1984) ipotizzata una patogenesi autoimmunitaria.
L'intero gruppo di queste patologie, rappresenta un'importante causa di ipovedenza nella popolazione mondiale, data anche la scarsità, per non dire quasi l'assenza, di presidi terapeutici realmente efficaci finora a nostra disposizione.
 

Che cos'è la retinite pigmentosa?

INDICE:

La Retina
La Malattia
I Sintomi
La Diagnosi
Genetica
Classificazione
Esperienza Personale
Terapia Università di Pisa
Ultime novità

Con il termine Retinite Pigmentosa si definisce un gruppo di malattie ereditarie caratterizzate da una degenerazione progressiva della retina che interessa entrambi gli occhi. Spesso accanto al termine Retinite Pigmentosa vengono utilizzate anche altre definizioni dal significato analogo come: Retinosi Pigmentaria, Retinopatia Pigmentosa, Degenerazione Tapeto-Retinica, ecc.

LA RETINA

La retina è un organo situato nella parte posteriore dell'occhio ed è sensibile alla luce come una pellicola fotografica; essa recepisce e compone le immagini visive e le trasmette successivamente al cervello. Sulla sua superficie sono collocate ed operano due categorie di cellule sensibili alla luce: I CONI, così chiamati per la loro forma, che recepiscono soprattutto i particolari delle immagini ed i vari colori.

I BASTONCELLI, dalla linea allungata ed affusolata, i quali reagiscono prevalentemente al contrasto fra il chiaro e lo scuro ed

al movimento degli oggetti.
La parte centrale della nostra retina (denominata macula) presenta moltissimi coni e pochi bastoncelli, essa ci permette, ad esempio, di leggere o di ammirare le sfumature di un quadro. Nella zone periferica sono invece assai più numerosi i bastoncelli, grazie a questi possiamo avvertire un pericolo con la coda dell'occhio, per esempio il movimento di una macchina che sta per investirci, anche se non siamo in grado di distinguere i particolari dell'automobile.
 

LA MALATTIA

La Retinite Pigmentosa è una malattia degenerativa che colpisce le cellule fotorecettrici della retina (i coni ed i bastoncelli) uccidendole lentamente. In questo modo la capacità visiva del soggetto colpito viene progressivamente ridotta, fino a giungere in molti casi alla completa cecità. Le cause che determinano questa infermità sono ancora sconosciute e di conseguenza non esiste alcuna cura per i malati. L'unica informazione certa di cui gli scienziati dispongono è l'origine genetica della Retinite Pigmentosa, la quale viene trasmessa ereditariamente, di generazione in generazione, seguendo meccanismi ormai noti ai genetisti. Nel caso di matrimonio con una persona colpita da Retinite Pigmentosa, è quindi indispensabile ricorrere ad approfonditi esami genetici per poter quantificare i rischi di trasmissione della malattia.
-Con il termine retinite pigmentosa (RP) si indica ancora oggi un gruppo di malattie ereditarie della retina che provocano una perdita progressiva della visione notturna e del campo visivo periferico, e che sono caratterizzate nella maggioranza dei casi dalla migrazione di pigmento nella neuroretina, attenuazione dei vasi sanguigni retinici e pallore del disco ottico. In molti casi vi è una perdita dell'acutezza visiva, che può condurre all'ipovisione e progredire fino alla cecità.

La diagnosi deve essere sempre confermata da un elettroretinogramma anormale od estinto.
Anche se il termine è incorretto (queste malattie non sono "retiniti"), viene ormai usato universalmente, e la tendenza è a mantenerlo.
I recenti risultati degli studi di genetica molecolare sulla RP hanno dimostrato che esiste un comune meccanismo patogenetico, la degenerazione primitiva dei fotorecettori, che avviene sulla base di mutazioni di alcune delle proteine che costituiscono il ciclo della visione.
Vengono differenziate le retiniti pigmentose in cui la malattia retinica è unica manifestazione, dalle retiniti pigmentose associate ad alterazioni di altri apparati, o sindromiche.
Esistono inoltre delle forme non genetiche di degenerazione retinica molto simili alla RP che insorgono nei soggetti predisposti in seguito ad alcune infezioni (sifilide, morbillo), all'introduzione di farmaci retinotossici (clorochina, tioridazina, cloropromazina, indometacina, tamoxifen), od a traumi oculari, le quali vengono denominate pseudo-retiniti pigmentose.
Non sono da includere, invece, nel gruppo della RP le malattie che pur avendo un meccanismo patogenetico analogo non provocano la degenerazione dei fotorecettori e quindi la cecità, e non hanno carattere progressivo, come l'emeralopia congenita stazionaria, e le distrofie maculari ereditarie, che meritano una classificazione a parte.
Negli ultimi anni il progresso delle conoscenze in campo genetico ha permesso di intravedere nuove possibilità di prevenzione e cura delle malattie ereditarie, e quindi l'attività di studio si sta indirizzando alla comprensione dei meccanismi genetici che provocano tali degenerazioni retiniche.
Infatti l'identificazione del gene/i responsabili della malattia rende possibile la effettuazione di programmi di prevenzione attraverso l'identificazione dei portatori e costituisce la premessa per una futura terapia genica, ossia per la correzione del materiale genetico alterato.

I SINTOMI

I principali sintomi che possono indurre il medico a sospettare di trovarsi di fronte ad un caso di Retinite Pigmentosa sono essenzialmente due: Cecità Crepuscolare e Notturna
Cioè la difficoltà a vedere in condizioni di scarsa illuminazione (muoversi e guidare di sera o di notte) o problemi di adattamento nel passare dagli ambienti illuminati a quelli oscuri (entrare in una sala cinematografica buia). Questo fenomeno è dovuto al fatto che, almeno per la maggior parte dei casi, la malattia nelle prime fasi dello sviluppo aggredisce prevalentemente i bastoncelli.

Restringimento del Campo Visivo
Si manifesta con la difficoltà nel percepire gli oggetti posti lateralmente, oppure con l'inciampare nei gradini o negli ostacoli bassi. Per farvi un'idea del disagio a cui il malato va incontro, potete immaginare di vedere costantemente il mondo da uno spioncino o dal buco della serratura. L'alterazione del campo visivo è progressiva e può giungere ad interessare anche la parte centrale dell'occhio, con perdita del visus. La velocità di progressione della malattia e l'età di comparsa dei sintomi variano in relazione a molti fattori tra cui il modello di trasmissione genetico.

In tutti i casi in cui il paziente o il suo medico curante possano sospettare che le difficoltà visive siano dovute ad un caso di Retinite Pigmentosa, è importante rivolgersi all'oculista. Solo lo specialista è in grado di effettuare tutti gli esami necessari per identificare con precisione la patologia. Per diagnosticare la malattia vengono generalmente effettuati l'esame del fondo dell'occhio e la sua fotografia, l'esame del campo visivo, l'elettroretinogramma, la fluorangiografia, l'esame del visus.

DIAGNOSI

L'esame del Fondo dell'Occhio
Ha lo scopo di valutare l'apparenza morfologica della retina e di ricercare la presenza di caratteristiche macchie di pigmento sulla superficie retinica, che nella malattia hanno un aspetto caratteristico detto ad osteoblasti. Talune forme di Retinite, pur presentando gli stessi sintomi, non sono però caratterizzate dalla presenza di macchie sul fondo dell'occhio.

L'esame del Campo Visivo
Permette di valutare la sensibilità retinica ad uno stimolo luminoso nelle varie zone della retina stessa. È utile per avere una documentazione oggettiva delle difficoltà percepite dal paziente.

L'Elettroretinogramma
Consiste nella registrazione dell'attività elettrica della retina in risposta a particolari stimoli luminosi, permettendo di valutare in modo distinto la funzionalità dei due diversi tipi di fotorecettori (i coni ed i bastoncelli). L'elettroretinogramma è un esame molto importante per diagnosticare la Retinite Pigmentosa, poichè anche quando la malattia è ancora nella fase iniziale, il tracciato che ne deriva è quasi sempre estinto e molto appiattito.

La Fluorangiografia
Si attua con l'iniezione per via endovenosa di una sostanza fluorescente e nella successsiva fotografia della retina in tempi diversi. Infatti tramite la circolazione sanguigna, la sostanza fluorescente giunge sino alla retina, rendendo visibili, colorandole, le arterie, i capillari e le vene, nonchè lo stato funzionale delle loro pareti.

L' Esame del Visus
Permette di valutare l'acutezza visiva nella porzione centrale della retina. Consiste nella lettura di caratteri di varia grandezza alla distanza di 3-5 metri.

Il Decorso

Il decorso della malattia ha una durata estremamente variabile ma è comunque sempre progressivo ed invalidante. Nella maggioranza dei casi i sintomi precedentemente descritti si aggravano, il campo visivo si restringe sempre di più fino a chiudersi completamente. Compaiono poi altri disturbi come l'abbagliamento, l'incapacità di distinguere i colori, ed una particolare forma di cataratta. L'esito finale è purtroppo in molti casi la cecità assoluta.

La Diffusione

La Retinite Pigmentosa, secondo le statistiche in ternazionali, colpisce circa una persona su 4.000 sane, però la sua diffusione è ancor più nelle isole, nelle valli ed in tutte quelle comunità ove siano frequenti i matrimoni tra consanguinei. Molto spesso essa compare tra la pubertà e l'età matura, ma non sono assolutamente rari gli esempi di bambini colpiti nella prima infanzia.

La Sindrome di Usher

È una forma ancora più grave di Retinite Pigmentosa. In essa la malattia si presenta associata ad un sordomutismo presente fin dal momento della nascita. Come si può facilmente comprendere, questa patologia è particolarmente invalidante in quanto colpisce, oltre al senso della vista, anche quello dell'udito. Fortunatamente la Sindrome di Usher non è molto diffusa. Si pensa che coinvolga il dieci per cento di tutti i casi di Retinite Pigmentosa. Esistono infine anche altre sindromi che associano la Retinite ad altre menomazioni particolarmente gravi come ritardo mentale, polidattilia, microcefalia ecc. Si tratta comunque di affezioni, per fortuna, molto rare.

FORME SPORADICHE
Le forme sporadiche ( circa il 30% di tutti i casi) prevedono dunque la presenza di un unico caso a memoria d'uomo in una famiglia. La sporadicità è solo una constatazione familiare, ma è molto difficile escludere la eredità recessiva oppure quella legata al sesso, se la persona affetta è di sesso maschile.
Il fatto che molti casi di retinite pigmentosa seguano uno degli schemi mendeliani di trasmissione ereditaria, dimostra che in quei casi la malattia è dovuta alla mutazione, ovvero ad una anomalia strutturale, di un gene; il gene mutato è la causa della malattia . Sono state scoperte numerose mutazioni di diversi geni, tutte capaci di determinare la retinite pigmentosa, tanto che, entro questa terminologia clinica, sono comprese molte forme geneticamente diverse.
Il campo nel quale le conoscenze sono ben lontane dall'essere esaurienti è quello della "patogenesi", ovvero dei meccanismi mediante i quali la mutazione di in gene determina l'insorgenza e la evoluzione della malattia. Dunque si conoscono molte (fin troppe) cause della retinite pigmentosa, ma non è noto come agiscano.
Si può , almeno in prima istanza, proporre questa sequenza: la mutazione di un gene determina una anomalia strutturale di una delle proteine che in qualche modo partecipa alla funzione visiva; da questa anomalia deriva la degenerazione delle cellule in cui la proteina è attiva e quindi la malattia.
Nei confronti della retinite pigmentosa ha un grande valore pratico la prevenzione , la quale si esercita mediante la consulenza genetica.
A sua volta quest'ultima consiste in una raccolta approfondita delle notizie familiari della persona affetta e nell'applicare ad esse le leggi genetiche già illustrate.
Spesso si rendono utili accertamenti clinici strumentali di competenza oculistica.
E' utile dare una dimensione alla applicabilità delle tecniche di diagnosi molecolare del DNA, le quali tecniche peraltro sono troppo spesso enfatizzate e generano illusioni nelle persone coinvolte da questo problema.
Per riconoscere la presenza di una mutazione che può essere causa di retinite pigmentosa in un soggetto clinicamente sano (per esempio per trarne una definizione di rischio per i suoi discendenti), bisogna sapere quale mutazione cercare fra tutte le numerose possibili.
La strategia conoscitiva ed applicativa che dovrebbe essere seguita sarebbe quella di individuare la mutazione sicuramente presente nei soggetti affetti da una forma ereditaria, per poterla poi cercare nei membri sani delle loro famiglie.
L'approfondimento e la estensione delle conoscenze del DNA quali derivano dal progetto genoma, porteranno certamente a risultati significativi in questo campo.

Le prospettive della ricerca

Sebbene l'identificazione e la classificazione della Retinite Pigmentosa risalgano alla metà del secolo scorso, tuttavia ben pochi progressi concreti sono stati compiuti fino ad oggi, sia sul fronte delle cure possibili, sia su quello, altrettanto importante, della comprensione delle cause che la determinano e che ne regolano il decorso. Attualmente i filoni più promettenti della ricerca internazionale sono i seguenti:
La Genetica
Si propone di identificare il gene od i geni responsabili della malattia, per poter eventualmente intervenire in seguito con le moderne tecniche dell'ingegneria genetica.
I Trapianti
L'intento è quello di mettere a punto una tecnica che renda possibile il trapianto di tessuto retinico, o per lo meno l'innesto di cellule sane su retine malate.
L'Immunologia
Si prefigge di verificare alcune teorie che ipotizzerebbero un'alterazione del sistema immunologico alla basa della malattia.


GENETICA
Il gene della retinite pigmentosa

Un gruppo di ricerca dell'Istituto internazionale di genetica e biofisica del CNR di Napoli, finanziato da Telethon, è riuscito a isolare sul cromosoma X un gene - denominato RP3 - responsabile di una forma di retinite pigmentosa che colpisce in modo severo i maschi.
La retinite pigmentosa è una malattia ereditaria che provoca, nel corso degli anni, una progressiva riduzione del campo visivo e che rappresenta una delle più frequenti cause di cecità .
La scoperta, pubblicata sul numero di maggio di "Nature Genetics", è stata fatta nel laboratorio del dottor D'Urso, con il contributo dei dottori Ciccodicola, Migliaccio e Cirigliano e di altri laboratori europei. Essa rappresenta una tappa importante nello studio interdisciplinare sulla malattia che vede impegnati il CNR di Napoli, la Clinica oculistica della II Università di Napoli e il Servizio di genetica medica dell'Ospedale Cardarelli, nonché l'ORAO, associazione campana di non vedenti.

Il gene SYBL 1

Lo stesso gruppo di ricerca del CNR di Napoli ha annunciato la scoperta - sul tratto terminale del cromosoma X - del gene SYBL 1, ciò che consente di rivelare l'esistenza di un nuovo meccanismo di regolazione per i geni associati ai cromosomi sessuali X e Y.
Tale fenomeno riveste un'enorme importanza funzionale, in quanto alla regione terminale del cromosoma X sono associate geneticamente numerose patologie, alcune delle quali interessano prevalentemente l'epidermide, mentre altre sono caratterizzate da particolari disturbi comportamentali.

Localizzato un altro gene

Uno studio coordinato dalla dottoressa Devoto, ricercatrice presso la Cattedra di genetica umana dell'Università di Genova, ha permesso di localizzare in una ristretta regione del cromosoma 11 il gene responsabile della neuropatia ereditaria con ispessimenti focali della mielina, gravissima patologia con esordio nella prima infanzia e decorso altamente invalidante, tale da relegare i soggetti colpiti alla carrozzina entro il terzo decennio di vita.
La localizzazione ha fatto seguito alla caratterizzazione clinica della malattia, condotta da un gruppo di ricercatori della Clinica neurologica dell'Università di Catanzaro ed è il frutto di uno studio genetico, finanziato da Telethon, su una famiglia calabrese con dieci membri affetti da questa patologia.
Tali risultati rappresentano il primo passo verso l'identificazione diretta del gene difettoso e la conseguente comprensione dei meccanismi biologici che determinano la malattia.

Il gene del sesso

Proseguono gli studi sul gene DAX-1, che funziona da interruttore nel momento critico della determinazione del sesso. Ricercatori dell'Università di Sassari e di Pavia, diretti dalla professoressa Camerino - grazie ai finanziamenti Telethon e in collaborazione con un gruppo di studio inglese - sono riusciti a descriverne dettagliatamente gli effetti, a livello delle ghiandole surrenali, dell'ipotalamo e dell'ipofisi.
Mutazioni del gene DAX-1 sono responsabili - per la forma legata al sesso - di ipoplasia congenita dei surreni (AHC), malattia ereditaria caratterizzata dal mancato sviluppo di parte della corteccia surrenale e da ipogonadismo ipogonadotropo (diminuita produzione di ormoni sessuali da parte dell'ipofisi), con conseguente infertilità e grave insufficienza surrenale.
Data la medesima origine embrionale di gonadi e surreni, si è ipotizzato che il gene DAX-1 possa svolgere una funzione rilevante nello sviluppo dei due organi. Inoltre, si è dimostrato che la proteina prodotta dal gene DAX-1 è presente nella parte di tessuto embrionale che diventerà ovaio, ma non in quella che diventerà testicolo.
Tale scoperta permette infine di far luce sui meccanismi della determinazione del sesso e sulle loro deviazioni patologiche, quale lo sviluppo del tipo femminile in individui geneticamente maschi.(Articolo tratto dal DM 123- agosto 1996).
 

CLASSIFICAZIONE

Nonostante la similarità del quadro clinico delle varie forme di RP, una classificazione unitaria soddisfacente non è mai stata trovata, a dimostrazione delle notevoli differenze che in realtà esistono tra forme solo apparentemente simili. Va ricordato che la RP è un fenotipo molto diffuso che rappresenta il punto di arrivo comune di molte e diverse malattie retiniche.
Innanzitutto bisogna differenziare la RP primaria, in cui esiste solo l'interessamento oculare, dalla RP che si ritrova associata a malattie extraoculari.
La RP primaria, da un punto di vista fisiopatologico, viene suddivisa classicamente in due gruppi principali: le forme in cui la perdita di funzione dei bastoncelli precede quella dei coni ("rod-cone"), e le forme in cui la perdita di funzione dei coni precede qella dei bastoncelli ("cone-rod").
Preliminarmente è importante tuttavia classificare geneticamente le varie forme di RP, sia per fornire una prognosi di massima al paziente definendo in prima approssimazione la gravità della forma di retinopatia, sia per una valutazione delle probabilità di trasmissione ai discendenti, sia per poter suddividere la malattia in sottogruppi relativamente omogenei, che presumibilmente potrebbero avere un meccanismo patogenetico comune, quadri fisiopatologici caratteristici, e la cui categorizzazione faciliterebbe le indagini genetiche.
La RP autosomica dominante teoricamente rappresenta il gruppo delle forme meno gravi. Da un punto di vista clinico viene suddivisa in due tipi: tipo diffuso (D) con esordio precoce, e tipo regionale con esordio ad età variabile, ma generalmente più tardivo. Tale classificazione corrisponde entro certi limiti ai 2 gruppi ad esordio precoce (tipo I) ed esordio tardivo (tipo II) dell'emeralopia di Massof e Finkelstein . Nel tipo D la perdita di funzione fotorecettoriale riguarda diffusamente tutto il fondo oculare e sono prevalentemente interessati i bastoncelli, mentre nel tipo R la perdita di funzione riguarda sia i bastoncelli che i coni, ma in forma localizzata, in aree determinate circoscritte del fondo. Alcuni AA. hanno proposto l'introduzione anche della forma a settore come terzo sottotipo.
La RP legata al cromosoma X è tipicamente la forma più severa in termini di precocità di esordio, penetranza completa, progressione relativamente rapida, alta incidenza di miopia e di cataratta. Più frequentemente in questo tipo rispetto agli altri tipi di trasmissione l'acutezza visiva è ridotta a meno di 5/10 tra l'età di 20 e 39 anni, l'esordio della emeralopia è inferiore ai 20 anni, esiste una miopia superiore alle 2 diottrie, ed un elettroretinogramma praticamente estinto.
In un piccolo numero di famiglie con RPX tuttavia la malattia è relativamente mite nei pazienti maschi, probabilmente per ragioni di eterogeneità allelica o genetica. In alcuni casi, questi pazienti presentano una buona acutezza visiva ed un campo visivo conservato anche dopo i trent' anni, situazione assai rara in generale in questa forma di RP. Alcuni di questi casi sono stati classificati come RP3 mediante analisi di linkage .

In un certo numero di famiglie (41%) con RPX una percentuale significativa di portatrici (30%) della malattia mostra all'esame oftalmoscopico un caratteristico riflesso retinico nella regione para-maculare, denominato riflesso tapeto-retinico. Il fondamento anatomo-patologico di questo riflesso non è noto.
Delle varie forme genetiche di Retinite Pigmentosa (non-sindromiche e sindromiche) sono stati localizzati oltre trenta loci distinti, ed almeno nove geni responsabili.
La maggioranza di questi geni codifica per proteine implicate nel ciclo della visione, e la mutazione genica più frequente, sia in termini di numero di mutazioni identificate (oltre 70), che di numero di pazienti colpiti (circa il 10%), riguarda il gene della rodopsina (il pigmento visivo dei bastoncelli) localizzato sul cromosoma 3 (3q21-q24), ed associato pressochè esclusivamente alla forma autosomica dominante (RP4).
In questa forma di RP sono state identificate mutazioni a carico di un altro gene, la periferina, localizzato sul cromosoma 6 (6p21.1-cen), sia in forma isolata che digenica, in associazione con ROM1. Le mutazioni della periferina sono tuttavia più frequentemente osservate nella cd. distrofia retinica maculare tipo "pattern" od "a farfalla". Altri loci genici della forma autosomica dominante sono stati identificati sui cromosomi 7, 8, 17 e 19.
Per la RP autosomica recessiva (RPAR) sono state identificate solo quattro mutazioni, che insieme, sono presenti in meno del 10% dei pazienti affetti, riguardanti il gene della rodopsina, della subunità b della fosfodiesterasi GMPc (PDEB), situato nella banda cromosomica 4p16, che rappresenta il sito più frequente di mutazione della RPAR (4% circa), il gene dei canali GMPc dei bastoncelli, ed il gene della subunità a della fosfodiesterasi GMPc (PDEA), situato sul cromosoma 5q31.2-q34. Due altri loci responsabili della RPAR sono stati identificati mediante analisi di linkage in famiglie con matrimoni tra consanguinei, la RP12 sul cromosoma 1q31-q32.1, e la RP14 sul cromosoma 6p21.3 (distinto dalla periferina) e la RP16 sul cromosoma 14.
Nella forma di RP legata al cromosoma X (RP-X) gli studi di linkage effettuati dimostrarono inizialmente l'esistenza di due diversi loci codificati a seconda della posizione sul cromosoma X come RP2 (Xp11.3) ed RP3 (Xp21.1), ma successivamente sono stati evidenziati altri due loci (RP6 e RP15) nella regione distale di Xp.Del tutto recentemente nella RP3 è stato possibile effettuare la clonazione posizionale di un gene, l'RPGR (retinitis pigmentosa GTPase regulator), il cui prodotto proteico è rappresentato da una proteina di 90 kD con funzioni regolatrici sulle piccole proteine leganti GTP.

Classificazione genetica della retinite pigmentosa primaria:



Tipo Localizzazione simbolo & Gene identificato Rif - Cromosomica n OMIM



Autosomica Dominante (ad)
RP1 cromosoma 8q11-q21 180100
RP4 cromosoma 3q21-q24 RHO; 180380 rodopsina
RP5 (eliminata) 180102
RP7 cromosoma 6p21.1-cen RDS; 179605 periferina
RP8 ?
RP9 cromosoma 7p15.1-p13 180104
RP10 cromosoma 7q 180105
RP11 cromosoma 19q13.4 600138
RP13 cromosoma 17p13.3 600059
RP17 cromosoma 17q22-q24 600852
Autosomica Recessiva (ar)
RP12 cromosoma 1q31-q32.1 600105
RP14 cromosoma 6p21.3 RP14; 600132 GUCA1(?)
PDEB cromosoma 4p16.3 PDEB; 180072 b-PDE
CNCG cromosoma 4p14-q13 CNCG; 123825 g-CNCG
PDEA cromosoma 5q31.2-q34 PDEA; 180071 a-PDE
RP16 cromosoma 14
Legata al cromosoma X (Xar)
RP2 cromosoma Xp11.3 312600
RP3 cromosoma Xp21.1 RPGR (retinitis pigmentosa GTPase regulator)
RP6 cromosoma Xp21.3-p21.2
RP15 cromosoma Xp22.13-p22.11

Digenica
ROM1 cromosoma 11q13 ROM1; 180721 ROM1
 

ESPERIENZA PERSONALE:

LE DEGENERAZIONI TAPPETO-RETINICHE, DI CUI LA RETINITE PIGMENTOSA E' IL CAPOSTIPITE, SONO SPESSO EVOLUTIVE E CON SCARSA POSSIBILITA' TERAPEUTICA!


ESERCITANDO LA MIA PROFESSIONE A PISA,HO AVUTO LA FORTUNA DI ESSERE L'AIUTO DEL PROF ALBERTO MARIA WIRTH E CON LUI, INSIEME AD ALTRI MEDICI,ABBIAMO, ALLA FINE DEGLI ANNI OTTANTA,PROVATO UNA TERAPIA CHE CI HA PORTATO RETINITI PIGMENTOSE UN PO' DA TUTTA EUROPA!


LA TERAPIA NON HA COMUNQUE DATO I RISULTATI SPERATI!!PERO' CI HA PERMESSO DI AVERE UN' ESPERIENZA SULLA PATOLOGIA IN OGGETTO DAVVERO UNICA ED IRRIPETIBILE!!
DA QUI INIZIO' ANCHE UNA COLLABORAZIONE CON IL"Centro Internazionale di Retinite Pigmentosa" "CAMILO CIENFUEGOS"di l'Avana (Cuba) NELLA PERSONA DEL SUO DIRETTORE L'ESIMIO Prof.Orfilio Peláez Molina,AHIME' DECEDUTO.
iN TALE CENTRO SONO STATO PER AVERE UN'IDEA PERSONALE DI QUANTO SI STAVA STUDIANDO E FACENDO PER TALE PATOLOGIA.


Nel Centro Internazionale Oftalmologico "Camilo Cienfuegos" a La Habana, un gruppo di scienziati ha introdotto una terapia con interventi di microchirurgia oftalmica, a secondo dello stadio della malattia, E MOLTI DEI MIEI PAZIENTI SONO STATI DA ME INDIRIZZATI PER QUESTO MOTIVO A TALE CENTRO!
L' intervento non ha la pretesa di guarire la retinite pigmentosa, (IL prof Pelàez ha utilizzato la tecnica a Cuba fin dal 1987 ed ha operato 15.000 malati, 7.000 dei quali stranieri provenienti da USA, Canada e Europa - ha scritto nei suoi lavori che nel 75% dei casi si può fermare la progressione della malattia, nel 16 riesce a garantire un miglioramento del campo visivo e nel 9% non ha effetto, senza comportare rischi, a parte quelli di qualsiasi operazione agli occhi). L' intervento dell' oculista cubano consiste nell' inserire nell' occhio un tessuto che produce fattori di crescita in grado di ritardare la degenerazione delle cellule della retina, la membrana più interna dell' occhio, fondamentale per la visione. Il tessuto in questione è un peduncolo del tessuto adiposo (grasso) dei muscoli dell' orbita, che viene inserito dopo aver fatto un' incisione nella sclera (quella che comunemente si chiama «il bianco dell' occhio»), lasciandolo attaccato al suo tessuto di origine perché continui ad essere alimentato.


Sembrerebbe che le cellule di grasso, a contatto con i tessuti della retina, cominciano a produrre fattori di crescita che fanno regredire il processo di degenerazione che è alla base della malattia.
L' impianto di peduncolo di cellule adipose nel piano sottostante la sclera trova giustificazione scientifica nel fatto che queste cellule, soprattutto quando poste in ambiente diverso da quello a loro naturale, liberano fattori di crescita in maniera continua o, comunque, proporzionata ai deficit metabolici del tessuto.
Purtroppo, come ha detto anche Peláez, oggi la diagnosi della retinite pigmentosa avviene spesso a uno stadio avanzato e i malati, prima di affidarsi alle mani del chirurgo, aspettano anni.
Pertanto è importantissima la STADIAZIONE della malattia per poter intervenire!!!!

N.B.:TUTTO OVVIAMENTE TENENDO IN CONSIDERAZIONE CHE TERAPIA PER QUESTE PATOLOGIE NON ESISTE ALLO STATO ATTUALE ED E' SOLAMENTE MATERIA SPERIMENTALE.


QUINDI CHE SPERANZE VI SONO PER IL FUTURO?

Anche se a tutt'oggi non esiste ancora una cura efficace, molto numerosi sono i progetti di ricerca che promettono buoni risultati per il futuro, ecco i principali filoni oggi in fase di sviluppo:

1. TERAPIA GENETICA: quando sarà possibile si potrà forse modificare il DNA delle persone malate attraverso l'utilizzo di virus appositamente trattati.

2. CELLULE STAMINALI: sono cellule indifferenziate le quali una volta innestate sulla retina potrebbero svilupparsi come cellule fotorecettrici.

3. RETINA ARTIFICIALE: sono in corso numerosi progetti finalizzati a supplire l'attività retinica attraverso l'utilizzo di chip o altri supporti tecnologici.

4. FATTORI DI CRESCITA: sono sostanze che potenzialmente potrebbero consentire la riproduzione e lo sviluppo di nuove cellule nervose; FARMACOLOGICA:ACIDO VALPROICO.

I ricercatori dell'Università del Massachusetts Medical School (UMMS) hanno trovato un trattamento nuovo per laretinitepigmentosa(RP), una grave malattia neurodegenerativa della retina che in ultima analisi porta alla cecità.

Valproic acid:

"L'infiammazione e la morte cellulare sono componenti chiave della RP", ha detto il dott Kaushal. "Sembra che l'acido valproico protegga le cellule visive dalla morte. Se le nostre osservazioni saranno ulteriormente suffragate da studi clinici randomizzati l'acido valproico a basso dosaggio potrebbe avere un enorme potenziale per aiutare le migliaia di persone affette da retinitepigmentosa".

Leggi abstract:
Therapeutic potential of valproic acid for retinitis pigmentosa.
C M Clemson, R Tzekov, M Krebs, J M Checchi, C Bigelow, S Kaushal
Br J Ophthalmol Published Online First 20 July 2010

Fonte ed approfondimenti:

Esciencenews:

In Italia l'acido valproico è commercializzato come DEPAKINE(Compresse 300 mg: sodio valproato 199,8 mg, acido valproico 87,0 mg corrispondenti a 300 mg di sodio valproato. >>Compresse 500 mg: sodio valproato 333 mg, acido valproico 145 mg corrispondenti a 500 mg di sodio valproato.) e per dire il vero,da quando è stato pubblicato il lavoro dei I ricercatori dell' Università del Massachusetts Medical School (UMMS)(giorgiobertin su luglio 21, 2010) abbiamo pensato di iniziare tale approccio terapeutico,visto il numero elevato di pazienti affetti da retinitepigmentosa che vediamo e abbiamo stabilito una dead line di risultati per il marzo 2011.

Ci incontreremo poi con i ricercatori dell'Università del Massachusetts Medical School (UMMS) per verificare se esiste un razionale terapeutico scientificamente provato in tale periodo!

Terapia genica nell'amaurosi congenita di Leber e delle Degenerazioni tappeto-retiniche con mutazioni nel gene RPE65.
La terapia genica è potenzialmente in grado di revertire la malattia o prevenire ulteriore deterioramento della visione in pazienti con degenerazione retinica ereditaria e incurabile.

Uno studio di fase I ha valutato l'effetto della terapia genica sulla funzione della retina e sulla funzione visiva in bambini e adulti con amaurosi congenita di Leber (la stessa cosa vale per la Retinite Pigmentosa).

Sono state valutate la funzione della retina e quella visiva in 12 pazienti di età compresa tra 8 e 44 anni con amaurosi congenita di Leber associata a RPE65, sottoposti a una iniezione sottoretinica di virus adeno-associato contenente un gene che codifica per una proteina necessaria per l'attività isomeroidrolasica dell'epitelio pigmentato retinico ( AAV2-hRPE65v2 ) nell'occhio in condizioni peggiori a bassa [ 1.5 x 10(10) vettori ], media [ 4.8 x 10(10) vettori ] o alta dose [ 1,5 x 10(11) vettori ] fino a 2 anni.

AAV2-hRPE65v2 è risultato ben tollerato e tutti i pazienti hanno mostrato un miglioramento sostenuto nelle valutazioni soggettive e oggettive della visione ( adattometria al buio, pupillometria, elettroretinografia, nistagmo ).

I pazienti hanno mostrato un incremento di almeno 2 unità logaritmiche nella risposta della pupilla alla luce, e un bambino di 8 anni ha raggiunto circa lo stesso livello di sensibilità alla luce dei suoi coetanei senza problemi di vista.

Il miglioramento maggiore è stato osservato nei bambini: tutti hanno acquisito ambulatory vision ( percezione delle ombre ).

Dallo studio è emerso che la sicurezza, il grado e la stabilità del miglioramento della visione in tutti i pazienti sono a sostegno dell'uso della terapia genica mediata da virus adeno-associati per il trattamento di disturbi ereditari della retina.
Gli interventi più precoci sono associati a risultati migliori.

Nuove speranze per sconfiggere la cecità e recuperare parzialmente la vista. Una ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine, ha scoperto una cura per l'amaurosi congenita di Leber, una forma di cecità ereditaria. Tre italiani che ne sono affetti sono già stati operati e hanno avuto dei grandi miglioramenti nella visione, mentre è già iniziato il trattamento per un quarto paziente.

Per arrivare a questa terapia, è stato necessario il lavoro congiunto di ricercatori italiani coordinati dal Children Hospital di Filadelfia e dall'Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) e dal Dipartimento di Oftalmologia della Seconda Università degli Studi di Napoli.
La terapia genica consiste nell'iniettare, nello spazio sottoretinico dell'occhio dei pazienti, un vettore virale con la versione sana del gene alterato. Il gene corretto provvede poi a produrre la proteina mancante nei non vedenti affetti da amaurosi congenita.
Come è accaduto ai pazienti sottoposti a trattamento, una ragazza di 19 anni di Pavia, e due gemelli siciliani. I tre ora riescono ad effettuare percorsi ad ostacoli e hanno una visibilità nettamente migliorata.


NUOVA POSSIBILE TERAPIA DA PISA

Ecco il link:
http://benessere.guidone.it/2011/02/24/retinite-pigmentosa-nuova-possibile-terapia-da-pisa/


Dall'Università di Pisa parte la lotta alla retinitepigmentosa. La patologia, indicata anche con l'acronimo RP, è una malattia genetica dell'occhio che, a volte, può portare alla completa cecità. Si può manifestare sia in età avanzata sia precocemente, con un percorso degenerativo che può durare anche qualche anno. Gli individui che ne sono affetti, infatti, accusano inizialmente un adattamento difficile al buio, seguito da una costrizione del campo visivo periferico fino, in alcuni casi, alla totale perdita della vista.
Farmaco in sperimentazione. Grazie ad una ricerca dell'Ateneo pisano, dell'Università di Milano e del CNR di Pisa è in fase di sperimentazione un trattamento farmacologico capace di rallentare la patologia nella sua mutazione autosomatica recessiva. Lo studio è stato realizzato dal gruppo diretto dalla professoressa Maria Claudia Gargini del dipartimento di Psichiatria, neurobiologia, farmacologia e biotecnologie dell'Università di Pisa, dalla dottoressa Enrica Strettoi dell'Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa e dal professor Riccardo Ghidoni dell'Università di Milano. Hanno collaborato al progetto l'ingegner Paolo Gasco della Nanovector di Torino, la dottoressa Ilaria Piano del dottorato di ricerca in Scienze del farmaco e delle sostanze bioattive della facoltà di Farmacia di Pisa, la dottoressa Elena Novelli della Fondazione Bietti e la dottoressa Giusy Sala dell'Università di Milano.
Ricerca innovativa. "La ricerca – afferma Maria Claudia Gargini, professoressa presso il dipartimento di Psichiatria e ideatrice del progetto - è fortemente innovativa tanto che i primi soddisfacenti risultati sono stati recentemente pubblicati anche sulla rivista americana 'Proceedings of National Academy of Sciences'. Il farmaco è una molecola, chiamata myriocin, che inibisce la morte cellulare agendo su una catena biochimica ben studiata fino ad ora in numerose patologie ma mai nella retinite pigmentosa". La soluzione proposta dall'Università di Pisa, recentemente brevettata, non agisce sostituendo il gene, ma attivando una neuro protezione che rallenta il percorso degenerativo.
Test sui topolini e sperimentazione sull'uomo. Il farmaco viene somministrato con un trattamento non invasivo in forma di collirio, grazie all'impiego di nano particelle lipidiche. "Non era mai stato dimostrato – continua la professoressa Gargini – che dalla retina si potessero introdurre tali particelle. Questa è la vera novità". Le gocce oculari, caricate della molecola inibitrice, sono state somministrate a topolini che riproducono in modo fedele la umana, andando incontro ad una progressiva degenerazione della retina ovvero laretinitepigmentosa che li conduce a cecità. La somministrazione del farmaco ha rallentato la degenerazione della retina mantenendone la struttura e la funzione per tutta la durata del trattamento e dando ottimi presupposti per la sperimentazione sull'uomo. "Ma ancora non possiamo dare tempi certi – conclude la professoressa Gargini – anche se ci hanno già contattato in molti per avviare questo tipo di test".
Gli scienziati avrebbero assistito ai benefici derivanti dalla scoperta della ceramide, una particolare molecola lipidica che, fra l'altro, detiene anche fra le diverse funzioni pure quelle di essere un valido trasmettitore, neurotrasmettitore quando il segnale si sviluppa a livello cerebrale. Non a caso si approfondiscono le ricerche di queste particolari strutture per fronteggiare l'evolversi di malattie neurodegenerative come il Morbo di Parkinson e il Morbo di Alzheimer.

Lo studio pubblicato sulla rivista scientifica PNAS avrebbe stabilito che coinvolti nella retinitepigmentosa sono proprio i fotorecettori che risentirebbero dell'azione della ceramide e dunque intervenendo su di essa è possibile rallentare la progressione della malattia stessa.
Lo studio che ha portato alla possibile cura della patologia è italiano ed è stato portato avanti dal team di studiosi capitanato da Enrica Stretto del CNR di Pisa e da Riccardo Ghidoni dell'Università degli Studi di Milano che hanno studiato in laboratorio l'azione della ceramide proprio sulle cellule ottiche, in particolare sui fotorecettori e per farlo si è agito con un'inedita sostanza, definita Myriocin che agirebbe proprio sulla produzione della ceramide. «La somministrazione del farmaco ha diminuito la quantità di ceramide a livello della retina – spiega Ghidoni -. Non solo, la molecola è stata in grado di aumentare il grado di sopravvivenza dei fotorecettori conservandone persino la normale struttura e funzione». Proprio quest'ultima caratteristica, valutata attraverso l'elettroretinogramma, ha dimostrato che l'occhio dei topi con ,retinitepigmentosa sui quali è stata sperimentata la sostanza, era in grado di rispondere agli stimoli luminosi.

Ma c'è di più, a rendere ancora più stupefacente la scoperta è la facilità di cura che otterrebbero i pazienti affetti da retinitepigmentosa. Infatti, alle fastidiose e dolorose iniezioni intraoculari, si sostituirebbe un particolare collirio che contiene nanoparticelle a base di myriocin. Una tecnica decisamente meno invasiva, che renderebbe il trattamento molto più fattibile e ben accettato qualora si rivelasse efficace e sicuro anche nell'uomo.

Tale riscontro segue di poco un altro successo della scienza medica ed ancora una volta in campo oculistico. Dall'America infatti ed in particolare dalla New York University, verrebbe la notizia secondo la quale un gruppo di 250 pazienti affetti da un'altra gravissima malattia,quale di fatto è la degenerazione maculare, avrebbe tratto grandi benefici da un farmaco, in particolare la Fenretinide(come da me già discusso in altriinterventi su questo forum) che di fatto, null'altro sarebbe se non un derivato della Vitamina A. Per dovere di informazione è utile ricordare che a tale vitamina da sempre sono ascritte doti anche in campo oculistico, ma mai fino a questo punto.
La notizia che ci proviene d'oltreoceano offre però una variante rispetto allo studio scientifico italiano sia pure orientato verso un'altra patologia. Lo studio statunitense infatti sarebbe giunto al punto di creare le condizioni necessarie per poter arrestare, sia pure ancora sperimentalmente, la malattia, senza però intervenire sul danno già avvenuto. In pratica, il malato di degenerazione maculare che si rivolge domani alla cura con Fenretinide assiste ad un arresto della patologia per effetto dell'azione del farmaco che preserverebbe le cellule ancora non danneggiate dalla patologia. Per quelle che hanno sofferto l'aggressione della malattia, non resterebbe ancora molto da fare. Anche se per le cellule distrutte da questa patologia, da altri ambienti scientifici giungono notizie molto confortanti, da quando si è appreso di prossime cure a base di cellule staminali.

Alorodopsina archeobatterica.

Il dott. Botond Roska dell'Istituto Friedrich Miescher e il suo team di neurobiologi hanno sperimentato una terapia genetica usando alorodopsina archeobatterica, una proteina fotosensibile che recupera la funzionalità delle cellule coni danneggiate. Il loro studio ha mostrato che la rete di cellule esistente era in grado di riprodurre molte delle complicate funzioni che trasformano la luce in un segnale neuronale. Secondo il team, le cellule inattive rappresentano un'importante via per l'intervento terapeutico in quelle malattie nelle quali si perde la funzione dei fotorecettori. "Crediamo di aver trovato un metodo terapeutico valido che potrebbe in definitiva contribuire a far scendere il numero di pazienti di retinite pigmentosa," ha detto il dott. Roska. Ha aggiunto che il team sta attualmente esaminando i pazienti per selezionare quelli che potrebbero trarre maggior beneficio dalla nuova terapia.


Novità sulla Retinitepigmentosa.


A) Retina Artificiale da cellule Embrionali:

Retine trapiantabili per la cura di malattie come la retinitepigmentosa
Un retina artificiale da staminali embrionali

La struttura composta da otto strati di tipi cellulari differenti è stata ottenuta grazie a una sofisticata tecnica di differenziazione delle staminali

Una sofisticata tecnica di differenziazione delle cellule staminali ha permesso a un gruppo di ricercatori dell'Università della California di creare la prima struttura retinica composta da otto strati di tipi cellulari differenti. Si tratta della prima struttura tissutale tridimensionale ottenuta con cellule staminali, il primo vero passo verso lo sviluppo di retine trapiantabili per curare gravi malattie quali la retinitepigmentosa o la degenerazione maculare.

Il direttore della ricerca Hans Keirstead, insieme al suo gruppo di ricerca, si era precedentemente dedicato a studi sulle lesioni del midollo spinale. In questa sede aveva progettato una metodologia di differenziazione delle cellule staminali, proprio per permettere la ricreazione dei diversi tessuti.

La creazione del tessuto retinico è una delle derivazioni di questo metodo, che però non è semplice come sembra. I ricercatori, per permettere lo sviluppo della prima retina, hanno infatti avuto bisogno di perfezionare una tecnica ingegneristica estremamente sofisticata, necessaria per creare tutte le tipologie cellulari che compongono la retina, e soprattutto per innescare la differenziazione cellulare. Era infatti necessario calibrare con precisione millimetrica gradienti microscopici delle particolari sostanze nelle quali vanno immerse le cellule staminali che diverranno poi tessuto retinico.
"Abbiamo prodotto una struttura complessa formata da molti tipi cellulari", ha spiegato Hans Keirstead, che ha diretto la ricerca e firma con i collaboratori un articolo in corso di pubblicazione sul Journal of Neuroscience Methods. "Si tratta di un grande progresso nella sfida alle malattie della retina."

In studi precedenti sulle lesioni al midollo spinale, il gruppo di ricerca di Keirstead aveva progettato un metodo in cui le cellule staminali embrionali umane potessero indirizzarsi a diventare cellule di uno specifico tipo cellulare.

In questo studio i ricercatori hanno utilizzato la tecnica di differenziazione per creare i molteplici tipi cellulari necessari alla retina. La sfida maggiore, ha detto Keirstead, è stata la loro ingegnerizzazione. Per mimare i primi passi dello sviluppo retinico, i ricercatori hanno infatti avuto bisogno di bisogno di mettere a punto una tecnica ingegneristica che permettesse di creare ben calibrati gradienti microscopici di sostanze atte a indirizzare la differenziazione cellulare nelle soluzioni in cui sarebbero state immerse le cellule staminali.

I ricercatori hanno iniziato alcuni test sperimentali su modelli animali per valutare il livello di miglioramento della visione che può essere offerto da queste strutture retiniche. In caso di risultati positivi potranno essere successivamente iniziati test clinici.
I test sperimentali sono ora in fase di esecuzione su modelli animali, per valutare il livello di miglioramento della visione che queste strutture possono apportare. Appena i risultati positivi
saranno riscontrati i test clinici veri e propri avranno inizio.
 

B) Terapia genica della retinitepigmentosa:

Secondo un gruppo di studio dell'università USA di San Diego California l'ereditarietà condurrebbe alla mutazione di una proteina preposta alla eliminazione dall'epitelio della retina di materiale come residui cellulare e patogeni.
L'anomalo funzionamento della proteina porterebbe ad accumuli di scarti sull'epitelio della retina ed alla perdita di funzionalità di coni e bastoncelli.
I ricercatori hanno provato ad inserire tramite un virus vettore (un rinovirus del raffreddore) una versione corretta della proteina MERTK che potrebbe essere responsabile della malattia.
La terapia è stata già provata con successo su animali da laboratorio.
Su alcuni pazienti affetti da patologia simile alla retinitepigmentosa è cioè l'amaurosi di Leber l'approccio ha dimostrato una buona efficacia.
La speranza è di iniziare la fase di sperimentazione clinica alla fine del 2010.

PROTEINE CNGA1 E CNGB1

Identificato il meccanismo attraverso il quale una proteina mutata della retina provoca la retinite pigmentosa, forma ereditaria progressiva di cecita'. A descriverlo sono ricercatori dell'Howard Hughes Medical Institute di Seattle, che ricordano come ''in questa patologia, le cellule fotorecettrici della retina degenerano e muoiono gradualmente. Ne risulta una scarsa visione in condizioni di oscurita'''. Recenti studi hanno identificato nella proteina Cnga1 mutata la causa della malattia.
Gli specialisti ricordano che la Cnga1 e l'analoga Cngb1, sono localizzate sul bordo della retina e insieme formano i canali ionici fondamentali per convertire lo stimolo luminoso in un segnale elettrico destinato al cervello. La proteina Cnga1 inoltre, puo' essere co-assemblata da sola o in associazione al Cngb1. I ricercatori hanno osservato che quando Cnga1 e' mutata in un particolare aminoacido, essa non e' piu' in grado di formare i canali ionici sulla superficie della cellula. Di conseguenza venendo a mancare il complesso ionico, a livello della retina non si converte il segnale luminoso nello stimolo elettrico destinato al cervello.


(Neuron, vol. 34, n.2, 10 apr. 2002)
I ricercatori autori della scoperta, dell'Howard Hughes Medical Institute di Seattle, precisano che ''in questa patologia, le cellule fotorecettrici della retina degenerano e muoiono gradualmente. Ne risulta una scarsa visione in condizioni di oscurita'''. La proteina mutata responsabile della malattia si chiama Cnga1.
Gli specialisti descrivono tale proteina localizzandola, come l'analoga Cngb1, sul bordo della retina formando i canali ionici fondamentali per convertire lo stimolo luminoso in un segnale elettrico destinato al cervello. La proteina Cnga1 inoltre, puo' essere co-assemblata da sola o in associazione al Cngb1. I ricercatori hanno osservato che quando Cnga1 e' mutata in un particolare aminoacido, essa non e' piu' in grado di formare i canali ionici sulla superficie della cellula. La conseguenza è che viene a mancare il complesso ionico, per cui a livello della retina non si converte il segnale luminoso nello stimolo elettrico destinato al cervello.

Diagnosi molecolare della retinite pigmentosa autosomica dominante


Distribuzione delle mutazioni HFI nella struttura del monomero dell'aldolasi B. Localizzazione delle mutazioni: azzurro, sito attivo; lilla, interfaccia tetramero; verde, C-terminale; blu, sito di R134. In giallo, il sito della delezione D6ex6

Per la diagnosi molecolare della retinite pigmentosa autosomica dominante (ADRP) vengono analizzati i geni CA4, CRX, FSCN2, IMPDH1, NRL, PAP-1, PRPF3, PRPF8, PRPF31, RDS, RHO, RP1. In pazienti affetti, sono state trovate nuove mutazioni nei geni RHO e IMPDH1. La mutazione in RHO è associata a fenotipo atipico; la mutazione in IMPDH1 potrebbe alterare l'attività "moonlight" dell'enzima di legare RNA. Lo studio funzionale dei mutanti contribuirà ad approfondire la funzione di queste proteine e a chiarire la variabilità fenotipica dei pazienti. Per la coroideremia, l'analisi del gene CHM, localizzato sul cromosoma X, ha portato all'evidenziazione di una mutazione missenso. Lo studio funzionale del mutante contribuirà a chiarire il ruolo del prodotto del gene CHM, la proteina REP-1, nel traffico intracellulare di membrane. Nei pazienti affetti da coroideremia con delezioni intrageniche, valutiamo la presenza/assenza di sequence tagged sites (STS) per la caratterizzazione dei breakpoint di delezione. In tal modo è possibile identificare, anche a livello prenatale, a partire da DNA genomico, i feti di sesso femminile portori dell'alterazione. La sindrome di Usher di tipo 2 (USH2) è una degenerazione retinica associata a sordità dovuta, nell'60-70% dei casi, a mutazioni nel gene USH2A. Recentemente sono stati identificati 51 nuovi esoni, oltre ai 21 già noti, che codificano una nuova isoforma della proteina, l'usherina, a funzione ignota. Nei pazienti affetti, le mutazioni nella nuova regione genica localizzano domini della proteina importanti per l'attività e aiutano ad ipotizzare un meccanismo patogenetico.