L’approccio all’ipertrofia prostatica benigna può essere considerato «sartoriale», cucito cioè sul disturbo e sulle esigenze di ciascun paziente. La dimensione ingrossata della ghiandola prostatica e i sintomi associati - la difficoltà a urinare a causa del flusso minzionale interrotto, del senso di incompleto svuotamento della vescica e del getto urinario debole o l’aumento del bisogno impellente di evacuare, anche di notte - restano soltanto uno dei parametri per la valutazione della cura. Oggi nella terapia si punta a proteggere e migliorare la qualità di vita del paziente - intima, sessuale, di coppia, lavorativa e del tempo libero - con cure in grado di rispondere alle esigenze della malattia e alle aspettative della persona. L’opportunità è resa possibile da un’ampia offerta: terapia medica o chirurgica, quando la prima non basta più. Il ricorso alla seconda ipotesi non esclude la preservazione dell’attività sessuale né interferisce con altri potenziali problemi urologici in atto.
Ipertrofia prostatica benigna: si amplia il ventaglio dei possibili trattamenti
La richiesta di trattamenti sempre più personalizzati nasce dall’esigenza di rispondere alla variabilità e ai bisogni differenti dei pazienti a rischio o interessati dall’ipertrofia prostatica benigna. Spetta all’urologo mettersi in ascolto e capire le esigenze di ciascun paziente. «Compito di un buon chirurgo non è più fornire una opzione di cura, ma la terapia migliore e più adatta a quel singolo caso e alle esigenze e stile di vita del paziente - afferma Luca Carmignani, direttore della divisione di urologia del Policlinico San Donato di Milano -. L’ipertrofia prostatica è oggi più diffusa rispetto al passato e riguarda anche uomini di mezza età: tra i 40 e i 50 anni. Dobbiamo essere in grado di indicare a ogni paziente il trattamento più indicato, considerando per più si tarda nell’approccio, maggiore è il rischio che la sintomatologia peggiori e comprometta la qualità della vita». Il colloquio con il paziente è un punto chiave per capire le criticità e necessità su cui adattare il trattamento personalizzato: tenendo conto dell’età, delle abitudini di vita, dell’attività lavorativa e del contesto sociale di ciascun paziente.
Trattamenti in base all’età del paziente
Non è più dunque possibile accontentarsi di orientare la terapia in base alle dimensioni della ghiandola prostatica o alla sintomatologia della malattia: «Il rispetto per la sfera sessuale, specie nella popolazione più giovane, è un punto cruciale - sottolinea lo specialista, che presiede la Fondazione Siu Urologia onlus -. Sempre più pazienti chiedono di poter mantenere l’eiaculazione. Grazie a tecniche innovative, oggi possiamo preservarla fino al 70 per cento». Mentre, nei pazienti più avanti con gli anni, occorre valutare la malattia in considerazione anche di eventuali altri problematiche presenti che possono richiedere l’assunzione di farmaci anticoagulanti e antiaggreganti. Fino al paziente molto anziano, possibile portatore di catetere vescicale. In questi casi si cerca di offrire un trattamento che consenta di rimuoverlo senza grosse difficoltà, a vantaggio di una migliore qualità di vita.
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