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«Vedere così tanta gente sana che porta le mascherine fa capire quanto sia irrazionale il comportamento umano», ha scritto in un tweet Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, per sintetizzare l’isteria collettiva divampata anche in Italia, dove al momento si registrano due casi di contagio da coronavirus. Al di là delle garanzie che giungono dalla comunità scientifica, il timore di contrarre la nuova infezione è dilagante.

«Di fronte a uno dei rischi legati alla globalizzazione, l’uomo si sta chiudendo in un individualismo che fa quasi più paura dell'infezione, per quant’è contagioso», afferma Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di neuroscienze e salute mentale dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano.

Perché il panico dilaga nonostante le rassicurazioni degli scienziati?
«Si ha paura di un qualcosa che non si vede e che, molto spesso, non si comprende - aggiunge l'esperto, co-presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia -. Nonostante i progressi compiuti dalla scienza negli ultimi due secoli e la facile attuazione dei comportamenti indicati come protettivi, molti tendono a non fidarsi. In un mondo complesso come quello attuale, si fa fatica a pensare che anche soltanto lavandosi correttamente le mani si potrebbe evitare il contatto con il coronavirus».

Cosa accade in queste ore nella mente delle persone più preoccupate?
«Di fronte a uno stato di allerta, il nostro cervello si attiva. Questa reazione è opportuna se si limita a una maggiore attenzione anche nei confronti di alcuni semplici comportamenti: quali per esempio il modo di starnutire e l’igiene delle mani. Ma in un Paese in preda all’ansia, come ci descrive il Censis, è più che probabile che si tenda a esagerare. Le persone più a rischio sono quelle ipocondriache o che soffrono già di altre fobie».

Da giorni si parla di psicosi: quanto è corretto usare questo termine per definire la paura degli italiani nei confronti del Coronavirus?

«Si fa un uso comune di questo vocabolo per descrivere l’alterazione della mente. Ma quella che si registra in queste ore non è una psicosi nel senso più autentico della parola. Quando parliamo di questi disturbi, ci riferiamo principalmente alla schizofrenia e al disturbo bipolare, condizioni che determinano grande sofferenza nei pazienti e nelle loro famiglie. Abusando del termine, corriamo il rischio di sminuire la gravità delle loro malattie».

Quale ruolo ritiene che stiano avendo i social network in questa vicenda?
«Quello di amplificare un timore finora rivelatosi quasi sempre infondato. L’effetto più pericoloso si rileva in chi parte già da una posizione contrapposta a quella della scienza. Sui social, queste persone tendono a raggrupparsi e a consolidare le proprie credenze. E a quel punto servono a poco le dichiarazioni degli scienziati, seppur rassicuranti».

Quale consiglio si può dare a chi sta vivendo questa vicenda come un tormento?
«Quello di disintossicarsi dai social e informarsi attraverso le fonti più autorevoli. I giornali italiani stanno seguendo la vicenda in maniera esemplare, combinando l’informazione con tutte le indicazioni utili per ridurre al minimo i rischi di contagio. Vanno inoltre messe da parte le illazioni. A molti sembrerà assurdo, nel 2020. Ma in alcuni casi nulla ci difende più di un corretto e frequente lavaggio delle mani».

Twitter @fabioditodaro

«Vedere così tanta gente sana che porta le mascherine fa capire quanto sia irrazionale il comportamento umano», ha scritto in un tweet Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, per sintetizzare l’isteria collettiva divampata anche in Italia, dove al momento si registrano due casi di contagio da coronavirus. Al di là delle garanzie che giungono dalla comunità scientifica, il timore di contrarre la nuova infezione è dilagante.

«Di fronte a uno dei rischi legati alla globalizzazione, l’uomo si sta chiudendo in un individualismo che fa quasi più paura dell'infezione, per quant’è contagioso», afferma Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di neuroscienze e salute mentale dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano.

Perché il panico dilaga nonostante le rassicurazioni degli scienziati?
«Si ha paura di un qualcosa che non si vede e che, molto spesso, non si comprende - aggiunge l'esperto, co-presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia -. Nonostante i progressi compiuti dalla scienza negli ultimi due secoli e la facile attuazione dei comportamenti indicati come protettivi, molti tendono a non fidarsi. In un mondo complesso come quello attuale, si fa fatica a pensare che anche soltanto lavandosi correttamente le mani si potrebbe evitare il contatto con il coronavirus».

Cosa accade in queste ore nella mente delle persone più preoccupate?
«Di fronte a uno stato di allerta, il nostro cervello si attiva. Questa reazione è opportuna se si limita a una maggiore attenzione anche nei confronti di alcuni semplici comportamenti: quali per esempio il modo di starnutire e l’igiene delle mani. Ma in un Paese in preda all’ansia, come ci descrive il Censis, è più che probabile che si tenda a esagerare. Le persone più a rischio sono quelle ipocondriache o che soffrono già di altre fobie».

Da giorni si parla di psicosi: quanto è corretto usare questo termine per definire la paura degli italiani nei confronti del Coronavirus?

«Si fa un uso comune di questo vocabolo per descrivere l’alterazione della mente. Ma quella che si registra in queste ore non è una psicosi nel senso più autentico della parola. Quando parliamo di questi disturbi, ci riferiamo principalmente alla schizofrenia e al disturbo bipolare, condizioni che determinano grande sofferenza nei pazienti e nelle loro famiglie. Abusando del termine, corriamo il rischio di sminuire la gravità delle loro malattie».

Quale ruolo ritiene che stiano avendo i social network in questa vicenda?
«Quello di amplificare un timore finora rivelatosi quasi sempre infondato. L’effetto più pericoloso si rileva in chi parte già da una posizione contrapposta a quella della scienza. Sui social, queste persone tendono a raggrupparsi e a consolidare le proprie credenze. E a quel punto servono a poco le dichiarazioni degli scienziati, seppur rassicuranti».

Quale consiglio si può dare a chi sta vivendo questa vicenda come un tormento?
«Quello di disintossicarsi dai social e informarsi attraverso le fonti più autorevoli. I giornali italiani stanno seguendo la vicenda in maniera esemplare, combinando l’informazione con tutte le indicazioni utili per ridurre al minimo i rischi di contagio. Vanno inoltre messe da parte le illazioni. A molti sembrerà assurdo, nel 2020. Ma in alcuni casi nulla ci difende più di un corretto e frequente lavaggio delle mani».

Twitter @fabioditodaro