La emergenze sono due: la sostenibilità del sistema e la disomogeneità dell’offerta tra le diverse Regioni. Entrambi gli aspetti sono una conseguenza del federalismo sanitario varato nel 2001, che come principale conseguenza ha avuto la divisione dei cittadini in pazienti di serie A (al Nord e talora nel Centro Italia) e in pazienti di serie B (al Sud): aspetto messo nero su bianco pure dall’ultimo rapporto «Osservasalute», che ha certificato come nel Mezzogiorno del Paese si possa vivere in media anche quattro anni in meno .

DA 40 ANNI ACCESSO ALLE CURE PER TUTTI

Detto ciò, nonostante le falle apertesi negli anni, l’istituzione del primo servizio sanitario nazionale rimane «una svolta cruciale e una tappa dell’evoluzione della democrazia del nostro Paese», per dirla con Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, che pochi giorni fa commentava così il quarantesimo anniversario dal varo del sistema che ha garantito l’universalità all’accesso alle cure sul territorio nazionale. Oggi, però, occorre tenere presente che il contesto sociale non è più quello del 1978 e le divisioni su base regionale pesano più del dovuto. Da qui la necessità di considerare il «quarantesimo» come un momento utile per decidere verso quale orizzonte, con l’obiettivo di salvaguardare una struttura che ancora oggi sono in molti a invidiare all’Italia.

COME NASCE IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Fino al 23 dicembre del 1978, giorno in cui con l’approvazione delle legge 883 fu sancita l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, l’accesso alle cure era garantito dalle casse mutue. Ogni categoria professionale era obbligata a iscriversi alla propria, insieme ai familiari a carico. Così si otteneva la tutela contro le malattie sul lavoro e il rimborso delle spese ospedaliere.

Il diritto alla salute era dunque basato sulla condizione di lavoratore e non su quella di cittadino e l’entità dei contributi e la qualità delle prestazioni variavano sensibilmente a seconda della cassa di appartenenza.

Ma il sistema non resse: le spese superavano le entrate e molte casse finirono in bancarotta, schiacciate dai debiti. Da qui l’idea del governo Andreotti (ministro della Sanità era Tina Anselmi) di far nascere il Servizio Sanitario Nazionale, che finì per assorbire i debiti contratti singolarmente dalle casse mutue.

I principi fondanti erano i seguenti: universalità, uguaglianza, gratuità, globalità dei servizi offerti, solidarietà, democraticità, controllo pubblico e unicità (niente privati).

IL RUOLO DELLE REGIONI

Qualcosa, nel tempo è cambiato. Ma è stato necessario attendere il 2001, con la riforma del titolo V della Costituzione, per vedere emergere la figura delle Regioni e aumentare il numero delle prestazioni erogate in convenzione dalle strutture sanitarie private. È da questo momento in avanti che hanno iniziato a crearsi le faglie tra regioni più e meno virtuose, con finanziamenti che hanno finito per seguire più la qualità delle performance che i reali bisogni di salute: peraltro mutati sensibilmente rispetto a quarant’anni fa.

SPESE SANITARIE ANCORA TROPPO ALTE

«Le performance, intese come capacità di cura, sono in linea se non migliori di quelle di buona parte dei Paesi europei - ha dichiarato Emmanuele Pavolini, ordinario di sociologia all’Università di Macerata, nel corso di un convegno internazionale organizzato dalla Asl di Taranto per celebrare la cifra tonda raggiunta dal Servizio Sanitario Nazionale -. D’altra parte, però, il livello di soddisfazione dei cittadini è più basso di quello registrato in altri Paesi. La spiegazione di questo apparente paradosso sta nel fatto che la capacità di coniugare una buona performance con una spesa pubblica limitata si gioca su una spesa privata in sanità più alta che altrove e, soprattutto, su un livello di diseguaglianze nell’accesso alle cure di varia natura difficilmente riscontrabile in altri Stati occidentali».

LA NASCITA DEI «LEA»

Tra le buone (recenti) iniziative per provare a stare al passo coi tempi, c’è la revisione dei Lea , ricalibrati sugli attuali bisogni di salute. Positivo anche lo sforzo delle Regioni di razionalizzare la rete di offerta secondo il modello «Hub & Spoke»: con strutture centrali («Hub») chiamate a gestire i casi più complessi e in contatto costante con i presidi periferici («Spoke»). Ma si tratta di soluzioni organizzative che sembrano ancora fuori proporzione rispetto ai bisogni di salute della popolazione e alle sfide che vengono lanciate soprattutto dal mondo della ricerca.

OBESITA’ INFANTILE E MALATTIE NEURODEGENERATIVE

Oggi la priorità non è più rappresentata dalla mortalità infantile, dalla qualità e dalle condizioni igieniche degli alimenti e dalle malattie infettive. Una delle piaghe dell’Italia, soprattutto nelle regioni meridionali, deriva dall’obesità infantile, considerata un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari e i tumori: prima causa di morte, su scala mondiale come nelle realtà occidentali.

Senza trascurare che, con l’aumento dell’età media della popolazione, è cresciuto il numero di persone colpite da malattie neurodegenerative (più in generale, da tutte le condizioni più frequenti nel corso della terza età): per le quali non ci sono ancora soluzioni terapeutiche definitive, ma che finiscono per gravare soprattutto su chi vive a stretto contatto con questi pazienti.

MEDICINA DI PRECISIONE E NUOVE TECNOLOGIE

E poi c’è il progresso che fiorisce nei laboratori: la medicina di precisione, l’impatto delle nuove tecnologie, le conoscenze del rapporto tra salute e ambiente, il potenziale indotto dalla rigenerazione dei tessuti, la consapevolezza crescente sull’impatto della prevenzione, l’accesso all’informazione da parte degli utenti. Questioni che pongono il Servizio Sanitario Nazionale di fronte a un bivio: tornare a crescere o normalizzarsi?. Il quarantesimo anniversario può essere non soltanto una ricorrenza, ma un’opportunità per capire cosa vogliamo fare della nostra capacità di assistere chi è meno fortunato, sul piano della salute.

Twitter @fabioditodaro


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