Quando si parla di psicosi, allucinazioni, delirio si rischia di fare una gran confusione anche nell’attribuire la giusta definizione alle diverse patologie che possono essere caratterizzate proprio dalla psicosi. In generale si può affermare che si fa diagnosi di psicosi in un paziente che ha una storia di allucinazioni e deliri che non permettono al paziente stesso di confrontarsi serenamente con la realtà e di rapportarsi correttamente con gli altri.

Il paziente psicotico, dunque, è quello per il quale sensazioni che nascono soltanto dalle proprie percezioni interiori diventano l’unica realtà esistente, inconfutabile da qualsiasi evidenza esterna. Quali sono le patologie che comportano psicosi, esistono pazienti che nascono psicotici o la psicosi è secondaria ad altre condizioni patologiche?

Per provare a fare chiarezza abbiamo posto alcune domande a Marco Onofrj, direttore della clinica neurologica dell’ospedale di Chieti che negli ultimi anni si è dedicato a un filone di studi strettamente connesso proprio all’insorgenza della psicosi e quindi dei sintomi che la caratterizzano, come le allucinazioni e i deliri.

Psicotici si nasce o si diventa?

«Secondo una definizione molto usata in neuroscienze la psicosi comporta perdita della realtà consensuale: la verifica della realtà confermata da altri, in pratica, non è in grado di modificare le percezioni (allucinazioni) o elucubrazioni (delirio) del paziente affetto. I sistemi di classificazione correnti definiscono la psicosi una presenza di deliri, allucinazioni, pensiero disorganizzato, comportamento motorio anormale (con catatonia).

La psicosi si accompagna con diverse malattie psichiatriche quale la schizofrenia e il disturbo bipolare, ma più spesso va ad aggravare malattie neurologiche, quali le forme precoci della demenza nel Parkinson e della demenza frontotemporale, le forme avanzate della demenza e di Alzheimer, le encefaliti infettive o infiammatorie autoimmunitarie, e diverse malattie neurologiche progressive dovute ad alterazioni metaboliche e mutazioni genetiche.

Psicotici, dunque si nasce o si diventa? Lo si diventa per lo più in età adulta o in vecchiaia, per lo svilupparsi di malattie neurologiche o psichiatriche, o anche in età più giovanile per la comparsa di encefaliti o disturbi psichiatrici. Le malattie genetiche possono costituire una predisposizione importante allo sviluppo di psicosi».

Che cosa significa ricevere una diagnosi di psicosi?

«Ricevere una diagnosi di psicosi non è di facile accettazione e gestione per nessun paziente. Ovviamente ricevere una diagnosi di psicosi secondaria a un’encefalite comporta la possibilità di guarigione piena e completa senza residui. Una diagnosi di psicosi secondaria a una malattia genetica potrà essere trattata con farmaci che sopprimono parte dei disturbi, ma tenderà a recidivare, ugualmente. Le psicosi che colpiscono nelle demenze possono essere corrette dai farmaci, ma tendono a recidivare».

La psicosi può essere curata in maniera definitiva?

«Per lo più no. A parte le psicosi secondarie alle encefaliti autoimmuni e nelle encefaliti, la psicosi tende a recidivare. I farmaci a disposizione ovvero antiepilettici e antipsicotici sono utili solo per contrastare i disturbi comportamentali».

La psicosi è una condizione secondaria ad altre malattie: con quanta difficoltà si diagnostica?

«La psicosi è sempre dovuta ad altre condizioni patologiche. Tipicamente nelle malattie neurodegenerative (Parkinson, demenza a Corpi di Lewy, demenza frontotemporale) la psicosi si presenta inizialmente in modo subdolo e lieve, con rare allucinazioni definite allucinazioni semplici, costituite da sensazioni di presenze invisibili nell’ambiente, percezioni di movimento rapido di qualcosa di indefinito, distorsione delle immagini con comparsa di dettagli di figure umane su figure neutre (per es. vedere figure umane invece di due cartelli stradali sovrapposti). Nelle malattie neurodegenerative le forme allucinatorie semplici però predicono sempre la comparsa di fenomeni molto più gravi, con stati allucinatori e confusionali, e stati di agitazione. La psicosi in queste malattie, costituisce un campanello di allarme importante, perché è considerata il prodromo di un peggioramento grave».

Di fronte a una diagnosi di malattia neurologica, quale il Parkinson ci si deve preoccupare più della diagnosi della malattia in sé o per la possibile comparsa di psicosi?

«Nell’ambito delle demenze, la psicosi viene presa in considerazione come espressione dei disordini comportamentali e psichiatrici, che, con altissima frequenza, si associano alla demenza stessa e costituiscono il problema principale nella gestione del paziente demente. La difficoltà di gestione principale di un paziente affetto da demenza, infatti, non dipende tanto dalla perdita dell’autonomia, ma dalla gestione degli stati di agitazione, dei risvegli notturni in stato confusionale, dalle fughe, che preoccupano i familiari, e che non possono essere controllati con la persuasione e le rassicurazioni del paziente, perché, per il paziente, il contatto con la realtà esterna è labile o assente».

Quali sono le frontiere della ricerca in questo campo?

«Negli ultimi venti anni sono state fatte scoperte eccezionali sui meccanismi che determinano la psicosi. E’ stata scoperta una rete neurale (network) che collega aree dei lobi frontali, che verificano la realtà condivisibile e sociale, e le aree del cervello emotivo (lobo limbico), che governano il richiamo della memoria delle esperienze passate e producono la narrativa interiore. Questa parte del lobo limbico è stata chiamata Default Mode Network (come nei computer), perché è un sistema che si “accende” quando il cervello è a riposo, cioè non sta eseguendo compiti motori, o percettivi o concettuali, ma “gira” internamente fantasticando e sognando, ovvero ripercorrendo esperienze di narrativa interiore. Si è usato il termine Default Mode, proprio come nei computer, per identificare un sistema che ripercorre e verifica i circuiti interni mentre la parte che deve eseguire i lavori o compiti è spenta. Il Sistema Default Mode si spegne durante un compito. Gli studi sulle malattie caratterizzate da psicosi hanno dimostrato che questo sistema Default Mode nelle psicosi non è più governato dai sistemi frontali di controllo della realtà, e si attiva anche durante compiti, in una condizione di disaccoppiamento (decoupling)».

Queste nuove acquisizioni permetteranno, secondo lei, di arrivare a dei nuovi approcci terapeutici?

«La scoperta del Default Mode Network e delle sue disfunzioni è stata una scoperta eccezionale, proprio perché sta permettendo di comprendere nuovi meccanismi e quindi nuovi approcci terapeutici. Basti pensare che, una volta identificato il sistema, diventa possibile identificare i neurotrasmettitori coinvolti, le vie neurali e le modulazioni di queste e diventa possibile spiegare con nuove competenze neuroanatomiche, quelle che erano state soltanto ipotesi psicodinamiche, che avevano dominato e illuminato la cultura dell’ultimo secolo con i concetti della psicoanalisi».

Possiamo dire che queste nuove conoscenze sono fondamentali sia per la neurologia che per la psicoanalisi?

«Il Default Mode Network, rappresentato come minuscolo narratore interiore, conscio di sé ma non sempre sotto il controllo della realtà condivisibile e sociale, è l’evidenza anatomica dell’inconscio autoconsapevole, ma sola macchina desiderante non inibita dalla realtà adulta. La scoperta del Default Mode, quindi permette di inquadrare i concetti della Psicoanalisi espressi come Io e ID e inconscio in termini neuro anatomici. La perdita del controllo dell’Io e la liberazione dell’inconscio, impulsivo e sconsiderato, è ora visualizzabile come liberazione del Default Mode Network dai controlli frontali, e ciò permetterà di riconsiderare diversi aspetti terapeutici, farmacologici e non».