Strumenti per compiere una diagnosi precoce al momento non ce ne sono. Oltre che per l’assenza di una cura efficace, la malattia di Alzheimer fa paura perché identificarla in tempo non è affatto facile, benché esistano alcuni campanelli d’allarme che dovrebbero mettere in allerta il paziente e il suo medico. Negli ultimi anni, però, diversi passi avanti sono stati fatti in questo senso. L’ultimo progresso porta la firma di alcuni ricercatori italiani, autori di un articolo pubblicato sulla rivista «Jama Neurology».
IL NEUROIMAGING PER ANTICIPARE LA DIAGNOSI?
Gli studiosi, coordinati da Giovanni Frisoni, direttore scientifico dell’istituto di ricerca Fatebenefratelli di Brescia, hanno valutato l’impiego del neuroimaging per la diagnosi precoce della malattia di Alzheimer, che costituisce le più diffuse tra le condizioni neurodegenerative.
Soltanto in Italia, colpisce ottocentomila persone, con un costo per il servizio sanitario nazionale stimato prossimo a 14,5 miliardi di euro annui. Tecniche ed esami per studiare in vivo il cervello delle persone che lamentano problemi cognitivi possono dunque rappresentare una soluzione verso l’opportunità di diagnosticare la malattia prima che la manifestazione clinica sia priva di qualsiasi dubbio.
Nello specifico, la tac a emissione di positroni - la Pet, già utilizzata nella diagnosi dei tumori e delle loro metastasi - consentirebbe di valutare la quantità di proteina beta amiloide cerebrale. Questo è quanto emerso dalla ricerca, che ha visto coinvolti 228 persone (campionate attraverso 18 strutture italiane) con sospetto diagnostico di malattia di Alzheimer, sottopostesi alla Pet per l’amiloide in aggiunta al normale percorso diagnostico: generalmente costituito da test cognitivi e dalla risonanza magnetica.
I risultati hanno mostrato che l’esame ha avuto complessivamente un impatto significativo sui pazienti e ha guidato i medici verso la formulazione di una diagnosi più precisa e di un piano terapeutico più appropriato.
MA SERVE UNA SVOLTA SUL PIANO TERAPEUTICO
Come tracciante è stato utilizzato il florbetapir, molecola radioattiva marcata con fluoro 18, che ha consentito di individuare nel cervello i depositi della beta amiloide, proteina il cui accumulo è considerato vincolato - se come causa o come effetto non è ancora del tutto chiaro - alla malattia di Alzheimer. L’esame, come specificato dagli stessi autori della ricerca, è relativamente nuovo e, di conseguenza, ancora poco diffuso nella pratica clinica. Risulta pertanto difficile affermare se e come la Pet per l’amiloide possa essere utile per medici e pazienti nel completamento dell’iter diagnostico della malattia di Alzheimer. Sebbene sia ancora necessaria un’accurata valutazione del rapporto tra costi e benefici, i risultati ottenuti suggeriscono però che la Pet per l’amiloide potrebbe presto diventare un valido strumento per una diagnosi precoce precisa e tempestiva. Partendo da qui, poi, l’obiettivo è mettere a punto trattamenti farmacologici mirati, che al momento non sono ancora disponibili.
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