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Non lo nega nessuno, nemmeno nella giornata mondiale dedicata alla malattia: non essere ancora in grado di rispondere all’incedere dell’Alzheimer è uno dei più grandi crucci dei ricercatori e dei neurologi.

La malattia, che colpisce cinquanta milioni di persone nel mondo e seicentomila soltanto in Italia, è al momento priva di una risposta terapeutica adeguata. Ma la sua complessità non è ancora stata del tutto decodificata.

«L’Alzheimer è una malattia del cervello, piuttosto che la conseguenza di una singola alterazione molecolare - afferma Stefano Cappa, ordinario di neurologia all’università Vita-Salute San Raffaele e direttore scientifico dell’Irccs Fatebenefratelli di Brescia -. Il percorso della malattia inizia decenni prima dei sintomi clinici, che possono essere diversi dal tipico disturbo di memoria. Questi concetti sono alla base di approcci innovativi per contrastare la complessità della neurodegenerazione».

MALATTIE DALLE CAUSE ANCORA IGNOTE

La malattia fu descritta per la prima volta nel 1906 dallo psichiatra e neuropatologo tedesco Alois Alzheimer. Ma ancora oggi non se ne conoscono chiaramente le cause. Attualmente la maggior parte degli scienziati ritiene non si tratti di un’unica causa, ma di una serie di fattori. Anche se il principale fattore di rischio è l’età, l’Alzheimer non è l’inevitabile conseguenza dell’invecchiamento, ma una condizione vera e propria con caratteristiche cliniche specifiche che richiedono specifici interventi diagnostici, terapeutici e riabilitativi.

COME RICONOSCERE L’ALZHEIMER?

A differenza di altre malattie, non esiste un esame specifico per diagnosticare la malattia di Alzheimer. La diagnosi è spesso un percorso che richiede molto tempo, diverse visite di valutazione del malato e l’esecuzione di numerosi esami clinici e strumentali. In ogni caso non è possibile arrivare a una certezza diagnostica, possibile solo dopo la morte in seguito a esame autoptico. L’iter diagnostico prevede la raccolta della storia clinica personale e familiare, la valutazione dello stato mentale, l’esecuzione di alcuni esami di laboratorio e di esami strumentali (tac, risonanza magnetica) e la valutazione neuropsicologica e psichiatrica.

La diagnosi può essere probabile (il medico prende in considerazione tutte le altre condizioni che possono causare demenza e giunge alla conclusione che i sintomi possono dipendere dall’Alzheimer), possibile (l’Alzheimer è probabilmente la causa principale della demenza, ma la presenza di un’altra malattia potrebbe influenzare la progressione dei sintomi) o certa (si ha eseguendo una biopsia del cervello o l’autopsia).

L’EVOLUZIONE DELLA MALATTIA

L’Alzheimer è definito dalla perdita significativa di memoria (amnesia), dall’incapacità di formulare e comprendere i messaggi verbali (afasia), di identificare correttamente gli stimoli, riconoscere persone, cose e luoghi (agnosia) e di compiere correttamente alcuni movimenti volontari, per esempio vestirsi (aprassia).

Anche se il decorso è unico per ogni individuo, ci sono molti sintomi comuni. Nella fase iniziale sono prevalenti i disturbi della memoria, ma possono essere presenti anche disturbi del linguaggio: la persona è ripetitiva nell’esprimersi, tende a perdere gli oggetti, a smarrirsi e non ritrovare la strada di casa.

Nella fase intermedia il malato si avvia a una progressiva perdita di autonomia, può avere deliri e allucinazioni e richiede un’assistenza continua. La fase severa invece è caratterizzata dalla completa perdita dell’autonomia: il malato smette di mangiare, non comunica più, diventa incontinente, è costretto a letto o su una sedia a rotelle. La durata di ogni fase varia da persona a persona e in molti casi una fase può sovrapporsi all’altra. La durata media della malattia è stimata tra gli otto e i vent’anni.

LE PROSPETTIVE TERAPEUTICHE

Come detto, la malattia di Alzheimer non è guaribile. Ma esistono dei farmaci (inibitori della acetilcolinesterasi e la memantina) che possono migliorare alcuni sintomi cognitivi, funzionali e comportamentali e numerose tecniche e attività in grado di ridurre i disturbi del comportamento. In assenza di risposte terapeutiche risolutive, diventa sempre più importante prendersi cura della persona malata per migliorarne la qualità di vita sotto tutti gli aspetti.

Si parla di terapia occupazionale (che adatta l’ambiente alle ridotte capacità del malato), stimolazione cognitiva (che potenzia le funzioni mentali residue), Reality Orientation Therapy (che cerca di mantenere il malato aderente alla realtà che lo circonda), Validation Therapy (che cerca di capire i motivi del comportamento del malato), musicoterapia (che riporta a galla con le emozioni le parole di una canzone o il suono di uno strumento), psicomotricità (che aiuta il malato ad affrontare la propria disabilità con attività di movimento) e Pet Therapy (che utilizza gli animali).

Un supporto importante può venire da una rete efficiente di servizi territoriali (medico di famiglia, centri diurni, assistenza domiciliare integrata), nonché dalle associazioni di familiari, che con la loro attività (informazione, formazione, sostegno) costituiscono spesso un punto di riferimento per le famiglie.

Twitter @fabioditodaro

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