Da Master Chef a Dottor Chef: è arrivato il decreto legislativo firmato dalla ministra Valeria Fedeli e inviato al presidente del Senato Pietro Grasso per il parere della commissione competente sulla definizione della nuova classe di laurea in «Scienze, cultura e politiche dell'alimentazione» e della nuova classe di laurea magistrale in «Scienze economiche e sociali della gastronomia». Nella relazione illustrativa si ricorda che nell'offerta formativa universitaria già esistono classi affini, come «Scienze e tecnologie agro-alimentari» e «Progettazione e gestione dei sistemi turistici», ma «non riflettono più il quadro complessivo della formazione superiore nel settore della cultura gastronomica e della ristorazione, divenute al contrario di estrema rilevanza per il sistema economico italiano» anche ai fini della professionalizzazione e dell'occupazione dei giovani.

Nei percorsi formativi sono previsti stage e tirocini, viaggi formativi pratico-culturali in modo da garantire una presa di coscienza “sul campo delle tradizioni e della cultura anche materiale della gastronomia, in un'ottica interregionale e internazionale. Per il corso triennale, sono previsti 92 crediti formativi, per quello magistrale i crediti sono 48. Le materie oggetto dei corsi hanno una dimensione culturale più ampia rispetto alle conoscenze basilari attorno all'ailmentazione, si studieranno le caratteristiche anche storiche dei diversi ingredienti, inseriti nel contesto dell'area in cui sono prodotti, e alla luce delle conoscenze contemporanee che investono i comportamenti di massa e la psicologia individuale. La proposta originaria, che viene citata nella relazione, giunge dall'Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, in provincia di Cuneo, nata nel 2004 su impulso della corrente ideal-gastronomica Slow food di Carlo Petrini.

I grandi chef non sembrano però entusiasti della proposta. Non nasconde il suo scetticismo ad esempio Gianfranco Vissani, titolare del rinomato ristorante di Baschi (Terni). «Ma come si fa a pensare di laureare degli chef? - si chiede - Non puoi fare dei corsi che durano qualche mese, o anche di più, e poi pensare di diventare una star. Tanto vale istituire anche un Premio Nobel allora...». Iperboli a parte, Vissani è sostenitore da anni di una soluzione didattico-educativa di base. «In verità penso che bisognerebbe istituire l'ora di cucina nelle scuole, come c'è, del resto, quella di religione. Una volta a settimana nelle elementari, almeno due nelle medie. E anche alle superiori: chiamiamola alimentazione, gastronomia, come ci pare, ma alle ragazze e ai ragazzi va data una cultura in materia. «Dopodiché, sulla base di questa infarinatura di base avranno più chance di approfondire il tema e magari di cimentarsi con la cucina professionale».


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