I contraccettivi ormonali combinati, cioè quelli che contengono sia un estrogeno sia un progestinico, rappresentano la soluzione contraccettiva farmacologica più impiegata nel mondo.
Attorno a loro, però, un’aura di sospetto: legata alla possibilità di insorgenza di un tumore al seno tra le donne che li assumono. Ipotesi anticipata da alcune pubblicazioni, ma poi smentita da uno studio pubblicato sulla rivista «Clinical Breast Cancer», condotto da un team di ricercatori italiani dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
La ricerca ha riguardato una campione di 2527 donne a rischio familiare di tumore al seno, anche portatrici della mutazione Brca: quella che ha portato l’attrice Angelina Jolie a rimuovere a scopo preventivo sia i seni sia le ovaie. L’analisi retrospettiva ha rilevato che l’uso di contraccettivi ormonali combinati non ha aumentato le probabilità di ammalarsi di tumore al seno, anche in caso di gruppi a rischio alto e intermedio.
Pesa di più l’età tardiva della prima gravidanza
I ginecologi e gli oncologi del centro per lo studio dei tumori eredo-familiari dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena hanno eseguito una revisione delle cartelle cliniche di 2527 donne che avevano partecipato allo screening di valutazione oncologica. Il dieci per cento di loro aveva avuto un tumore al seno prima dei cinquant’anni.
In tutta questa popolazione si è osservato che il menarca tardivo (la prima mestruazione), dopo i 12 anni, risultava un fattore protettivo. Mentre la tarda età della prima gravidanza (oltre trent’anni) era un fattore di rischio indipendente per tumore al seno. Dall’incrocio di tutte le informazioni e di tutti i dati raccolti, valutando anche gli anni con esposizione diretta ai contraccettivi ormonali combinati, s’è dedotto che il loro utilizzo non risulta correlato a un aumento del rischio di tumore al seno: indipendentemente dalle dosi e dalla durata d’uso della «pillola», anche in presenza di predisposizione genetica o familiare.
Alcuni contraccettivi comunemente usati erano associati a una tendenza, a volte significativa, verso un rischio diminuito di tumore al seno. Un’evidenza che conferma come in realtà le prove a riguardo siano ancora in parte discordanti e necessitino di un ulteriore consolidamento, prima di poter esprimere una considerazione conclusiva.
Rassicurazioni anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
L’effetto dei contraccettivi ormonali combinati durante la vita riproduttiva di una donna e il conseguente rischio di tumore al seno è sempre stato un argomento di grande interesse e una questione importante di discussione. Attualmente, i contraccettivi ormonali combinati sono i metodi di contraccezione più usati nelle regioni più sviluppate del mondo: con una percentuale media di utilizzo del 18 per cento nelle donne sposate tra i 15 e i 49 anni.
E le donne di questa fascia di età sono anche quelle più esposte alla diagnosi di tumore al seno rispetto ad altri tumori che hanno una maggiore incidenza in età post menopausa: come quelli del polmone e del colon-retto. Posto che gli anticoncezionali ormonali hanno una dimostrata efficacia protettiva verso forme tumorali molto aggressive e di difficile diagnosi e cura, in primis quello dell’ovaio ad alto tasso di mortalità, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rivisto i criteri di idoneità medica per i contraccettivi. Sulla base delle evidenze del 2015, gli esperti hanno deciso che l’uso di contraccettivi ormonali combinati non dovrebbe essere limitato nemmeno per le donne con una storia familiare di tumore al seno.
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