Il consumo di bibite, sia zuccherate sia con dolcificanti ipocalorici, può essere collegato a un maggior rischio di morte per tutte le cause. A giungere a queste conclusioni sono stati gli esperti dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc), in uno studio pubblicato sulle colonne della rivista «Jama Internal Medicine». Secondo la ricerca, rispetto al consumo di meno di un bicchiere al mese, coloro che riferiscono di consumarne due o più al giorno 2 o convivono con una probabilità più elevata di morire rispettivamente dell’8 (per le bibite zuccherate) e del 26 (per quelle con dolcificanti artificiali) per cento.

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Lo studio ha coinvolto quasi 452mila uomini e donne ed è durato oltre 16 anni. In questo periodo sono stati registrati quasi 42mila decessi e, incrociando questo dato con il consumo di bibite di vario tipo sulla base di questionari alimentari compilati dai partecipanti, gli esperti sono giunti alle conclusioni sopra citate. È così che si è arrivati a una conclusione che gli autori definiscono «impressionante», soprattutto in considerazione del fatto che la correlazione ha riguardato tanto le bevande zuccherate quanto quelle dolcificate artificialmente.

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I possibili meccanismi biologici in atto, in grado di spiegare tali associazioni, sono diversi per i due tipi di bibite. Spiega Neil Murphy, ricercatore del gruppo di epidemiologia nutrizionale dello Iarc e coordinatore della ricerca: «Per quelle zuccherate in primis l'eccesso di calorie che contribuisce all'aumento di peso e all'obesità. L'associazione è stata riscontrata anche per i consumatori magri. Segno che, oltre all'eccesso di peso, ci sono altri meccanismi che giocano un ruolo importante. Uno di questi potrebbe essere quello che porta le bibite zuccherate ad alzare i livelli di glicemia (concentrazione di zucchero nel sangue, ndr), da cui si innescano l’aumento dei livelli di insulina, l’insulino-resistenza e l’infiammazione».

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Per le bibite con dolcificanti artificiali i meccanismi sono meno chiari: prove scientifiche ancora limitate suggeriscono che i dolcificanti non sono inattivi, ma potrebbero indurre comunque iperglicemia e alti livelli di insulina. Sono gli stessi autori a considerare «necessaria l’acquisizione di nuove prove per verificare questa ipotesi». Detto ciò, per quanto lo studio sia di tipo osservazionale, «i risultati danno sostegno alla validità di iniziative di salute pubblica volte a ridurre il consumo di bibite».

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Zuccheri: meglio prediligere quelli complessi
Cautela che condivide pure Tiziana Casati, dietista dell'Ospedale Sacra Famiglia Fatebenefratelli di Erba (Como). «Queste bevande rientrano nella categoria degli alimenti a basso valore nutrizionale, che apportano però un elevato quantitativo di zuccheri semplici: da cui la risposta insulinica immediata in riferimento all’alto indice glicemico. L’importanza di questo indicatore, a fronte di numerose evidenze scientifiche, mostra come sia necessario essere prudenti per prevenire l’insorgenza di malattie metaboliche correlate all’aumento dei livelli di zuccheri nel sangue».

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Allo scopo di promuovere uno stile alimentare corretto e salutare, i carboidrati dovrebbero rappresentare dal 55 al 60 per cento delle calorie totali giornaliere. Questi dovrebbero essere principalmente zuccheri complessi (cereali e derivati), mentre da quelli semplici (compreso il fruttosio della frutta) non dovrebbe derivare più del 10 per cento dell’energia quotidiana.

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«Con il consumo giornaliero di bevande zuccherine si incrementa sensibilmente questa quota, senza un valore nutrizionale appropriato, che invece è garantito per esempio dalla frutta, con il suo contenuto in fibra idrosolubile», conclude la specialista, che ricorda come «la tendenza attuale è quella di utilizzare aromi naturali per le bibite, in particolare di quelli in grado di dare una sensazione di dolcezza che permette di ridurre la percentuale dello zucchero o del dolcificante lasciando la percezione del gusto dolce quanto più possibile uguale al prodotto originale».

Twitter @fabioditodaro