Potrebbe essere un nuovo fattore di rischio della demenza, quello individuato dai ricercatori. Si tratta di uno schema di pensiero che si accompagna spesso ad ansia e depressione, il «pensiero negativo ripetitivo» (RNT da “repetitive negative thinking”) che, secondo un team dell’Ucl di Londra, dell’Inserm francese e della McGill University di Montreal, può aumentare il rischio di andare incontro a declino cognitivo e neurodegenerazione.

Questo schema di pensiero, come il rimuginio e la ruminazione, è un’attività di pensiero inconcludente e ripetitiva di cui il soggetto non riesce a liberarsi e che invece di dare sollievo all’ansia, non fa che peggiorarla, costringendo la persona a rielaborare negativamente il passato e pensare senza sosta agli scenari futuri peggiori. Non solo. Questo schema di pensiero ripetitivo, che è associato all’ansia e alla depressione, potrebbe essere la chiave per spiegare come mai queste due condizioni sono fattori di rischio per la demenza. Gli autori del lavoro, pubblicato su Alzheimer’s & Dementia puntualizzano che il rischio di demenza aumenta solo in caso di pensieri ripetitivi cronici non saltuari ma nel lungo periodo.

Lo studio ha seguito 360 soggetti cognitivamente sani con più di 55 anni ad altro rischio di demenza, già reclutati nello studio Prevent-Ad (PRe-symptomatic EValuation of Experimental or Novel Treatments for Alzheimer’s Disease) e Imap+ (Longitudinal Study on Multimodal Imaging for Early-Stage Alzheimer's Disease: Biomarkers for Detection and Progression and Physiopathological Mechanisms). I ricercatori hanno somministrato ai partecipanti dei questionari relativi alle esperienze negative, al modo in cui pensavano a propri vissuti e alla presenza di sintomi di ansia e depressione.

I ricercatori hanno quindi monitorato le funzioni cognitive, sottoponendoli a test di valutazione della memoria, dell’attenzione, della cognizione spaziale e del linguaggio e, attraverso la Pet, hanno misurato i livelli della tau e della beta amiloide, proteine che si accumulano in forma anomala nel cervello delle persone con demenza.

Chi aveva il pensiero negativo ripetitivo in maggior misura andava incontro a un maggiore declino cognitivo e della memoria e aveva maggior probabilità di depositi di amiloide e tau nei loro cervello. La depressione e l'ansia, invece, erano sì associate al successivo declino cognitivo ma non alla deposizione di amiloide o tau, suggerendo che il pensiero ripetitivo potrebbe essere proprio la ragione principale per cui la depressione e l'ansia contribuiscono al rischio di Alzheimer. Il meccanismo biologico sottostante è ancora sotto indagine, ma l’ipotesi avanzata dagli scienziati è che questo schema di pensiero così intrecciato allo stress agisca a lungo andare sulla salute vascolare.

L’impatto sull’organismo della nostra condizione mentale può essere però sfruttato per la prevenzione. La speranza è che metodiche come la meditazione mindfulness, utili contro questo incagliarsi dei pensieri, possano aiutare ad allontanare il rischio di decadimento cognitivo e di demenza, nell’attesa di un farmaco che ne scongiuri o posticipi la comparsa.

Potrebbe essere un nuovo fattore di rischio della demenza, quello individuato dai ricercatori. Si tratta di uno schema di pensiero che si accompagna spesso ad ansia e depressione, il «pensiero negativo ripetitivo» (RNT da “repetitive negative thinking”) che, secondo un team dell’Ucl di Londra, dell’Inserm francese e della McGill University di Montreal, può aumentare il rischio di andare incontro a declino cognitivo e neurodegenerazione.

Questo schema di pensiero, come il rimuginio e la ruminazione, è un’attività di pensiero inconcludente e ripetitiva di cui il soggetto non riesce a liberarsi e che invece di dare sollievo all’ansia, non fa che peggiorarla, costringendo la persona a rielaborare negativamente il passato e pensare senza sosta agli scenari futuri peggiori. Non solo. Questo schema di pensiero ripetitivo, che è associato all’ansia e alla depressione, potrebbe essere la chiave per spiegare come mai queste due condizioni sono fattori di rischio per la demenza. Gli autori del lavoro, pubblicato su Alzheimer’s & Dementia puntualizzano che il rischio di demenza aumenta solo in caso di pensieri ripetitivi cronici non saltuari ma nel lungo periodo.

Lo studio ha seguito 360 soggetti cognitivamente sani con più di 55 anni ad altro rischio di demenza, già reclutati nello studio Prevent-Ad (PRe-symptomatic EValuation of Experimental or Novel Treatments for Alzheimer’s Disease) e Imap+ (Longitudinal Study on Multimodal Imaging for Early-Stage Alzheimer's Disease: Biomarkers for Detection and Progression and Physiopathological Mechanisms). I ricercatori hanno somministrato ai partecipanti dei questionari relativi alle esperienze negative, al modo in cui pensavano a propri vissuti e alla presenza di sintomi di ansia e depressione.

I ricercatori hanno quindi monitorato le funzioni cognitive, sottoponendoli a test di valutazione della memoria, dell’attenzione, della cognizione spaziale e del linguaggio e, attraverso la Pet, hanno misurato i livelli della tau e della beta amiloide, proteine che si accumulano in forma anomala nel cervello delle persone con demenza.

Chi aveva il pensiero negativo ripetitivo in maggior misura andava incontro a un maggiore declino cognitivo e della memoria e aveva maggior probabilità di depositi di amiloide e tau nei loro cervello. La depressione e l'ansia, invece, erano sì associate al successivo declino cognitivo ma non alla deposizione di amiloide o tau, suggerendo che il pensiero ripetitivo potrebbe essere proprio la ragione principale per cui la depressione e l'ansia contribuiscono al rischio di Alzheimer. Il meccanismo biologico sottostante è ancora sotto indagine, ma l’ipotesi avanzata dagli scienziati è che questo schema di pensiero così intrecciato allo stress agisca a lungo andare sulla salute vascolare.

L’impatto sull’organismo della nostra condizione mentale può essere però sfruttato per la prevenzione. La speranza è che metodiche come la meditazione mindfulness, utili contro questo incagliarsi dei pensieri, possano aiutare ad allontanare il rischio di decadimento cognitivo e di demenza, nell’attesa di un farmaco che ne scongiuri o posticipi la comparsa.