Non è un’opportunità di prima linea: per quella continueranno a esserci i farmaci tradizionali e i biotecnologici. Ma siccome la quota di persone affette dall’artrite reumatoide che a questi rispondono poco o sempre meno nel tempo è rilevante, comunque prossima alle duecentomila unità, l’arrivo di un nuova formula terapeutica merita di essere accolta in maniera favorevole.

Si chiama Baricitinib il farmaco che s’appresta ad ampliare il ventaglio di opportunità per gestire la malattia infiammatoria di origine autoimmune che colpisce in prima battuta le articolazioni, ma nei casi più gravi può arrivare fino alle ossa e agli organi interni. Oltre all’efficacia, provata da tutti gli studi finiti prima sui tavoli dell’Agenzia Europea del Farmaco (Ema) e poi di quella italiana (Aifa), che nelle prossime settimane lo renderà rimborsabile in tutto il Paese, la peculiarità è data dalla modalità di somministrazione: per via orale, un vantaggio non da poco (gli altri si somministrano tramite iniezioni) che si tradurrà in una maggiore aderenza alle terapie.

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Baricitinib indicato per le forme di artrite «refrattarie»

L’altra novità di Baricitinib è data dal meccanismo d’azione: inibendo gli enzimi Janus chinasi 1 e 2 che modulano i segnali delle citochine infiammatorie responsabili dello sviluppo e della progressione della malattia, il farmaco blocca contemporaneamente l’effetto di diverse proteine (citochine) infiammatorie. «Si tratta di un importante progresso per i pazienti, perché tra il 40 e il 50 per cento non ottiene miglioramenti dal trattamento di prima linea che solitamente si basa sull’uso del metotrexate - afferma Roberto Caporali, docente di reumatologia all’Università di Pavia -. L’efficacia di questa terapia viene misurata a tre e poi a sei mesi, per valutare il raggiungimento di uno stato di controllo dei sintomi e, possibilmente, di remissione della malattia.

Se il paziente non risponde e non ne trae beneficio, è necessario passare a terapie di seconda linea. Baricitinib può essere un’opzione terapeutica in questa tipologia di pazienti». In effetti l’assunzione quotidiana di una compressa, come documentato in due studi pubblicati lo scorso anno sul «New England Journal of Medicine» e sulla rivista «Annals of Rheumatic Diseases», ha determinato un miglior controllo della malattia (in particolare del dolore) già dalle prime settimane. Per poi confermarsi dopo 24 e 52 settimane di trattamento: ovvero fino a un anno dopo l’inizio delle cure.

Soluzione più comoda per i pazienti

Baricitinib si candida a essere l’ultima carta da giocare per chi è ha un artrite reumatoide che non risponde agli altri trattamenti, ma s’è rivelato in realtà «efficace fin dall’inizio in quei pazienti colpiti fin da subito da un forma moderata o gravide della malattia», commenta Fabrizio Conti, reumatologo al policlinico Umberto I di Roma.

La notizia della prossima distribuzione su tutto il territorio nazionale è stata accolta con favore dai pazienti. «Una terapia orale è più accettabile perché l’ago fa sempre paura e per questo motivo spesso il malato non è aderente ai trattamenti iniettivi - dichiara Silvia Tonolo, presidente dell’Associazione Nazionale dei Malati Reumatici (Anmar) -. Disporre di una compressa ci facilita la gestione della malattia anche negli spostamenti, nei viaggi, sul lavoro, con un vantaggio in termini di qualità della vita. Per non considerare poi anche l’aspetto della diminuzione del dolore, elemento cruciale per ciascun paziente».

Twitter @fabioditodaro


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