Le benzodiazepine sono fra i farmaci più usati in medicina generale: sono utili nell'insonnia e nella gestione dell'ansia, ma sono prescritti anche in caso di irrequietezza motoria, come miorilassanti e per il trattamento delle convulsioni. Sono in grado di esplicare tali effetti per la capacità di legarsi ai recettori per il GABA, modulandone l'attività. Le diverse benzodiazepine in commercio differiscono fra di loro sostanzialmente per potenza e durata d'azione; infatti si distingue fra le benzodiazepine a breve emivita quali triazolam e lormetazepam, quelle a emivita intermedia come il lorazepam e quelle a lunga emivita come il diazepam. Per emivita si intende il tempo che il farmaco impiega per dimezzare la sua concentrazione plasmatica. Maggiore è l’emivita di un farmaco, più lungo il tempo necessario per l’organismo per eliminarlo e quindi maggiori sono le probabilità che possa interagire con altri farmaci eventualmente assunti o che si accumuli provocando tossicità.
Per avere un quadro più chiaro sull'argomento abbiamo interpellato Fabio Lugoboni, responsabile della medicina delle dipendenze del Policlinico GB Rossi di Verona e con Stefano Tamburin, neurologo presso il Policlinico GB Rossi di Verona, professore associato di neurologia all'Università di Verona e componente del Direttivo AISD, coautori di uno studio recente che ha indagato la dipendenza di pazienti abituati ad assumere alte dosi di benzodiazepine
1) Cosa è emerso dallo studio sulla dipendenza da benzodiazepinedi cui siete tra gli autori?
«Dallo studio è emersa una grande differenza nella capacità di indurre dipendenza tra le varie benzodiazepine. In altre parole, assumere lorazepam, lormetazepam, alprazolam o diazepam non è la stessa cosa ai fini dello sviluppo di dipendenza».
2) Chi assume benzodiazepine quale rischio corre di sviluppare dipendenza?
«Sappiamo ormai per certo da molti studi che la metà di chi assume benzodiazepine a vario titolo, tende ad usarle per tempi lunghi (anni). In questi pazienti il rischio di sviluppare dipendenza è molto alto, più dell’80%. Diverso è il campione che abbiamo studiato a Verona. In questo caso si trattava di persone dipendenti da alte dosi, cioè che assumevano dosi molto più alte dei dosaggi massimi consentiti. In questa tipologia di pazienti gli studi sono nettamente minori.
Potremmo dire che il 2% di chi prende, a vario titolo, benzodiazepine sviluppa tolleranza, assuefazione, quindi sente il bisogno di assumere dosaggi via via crescenti. Rapportato all’Italia, significa che potrebbero essere 130.000 gli italiani che prendono ogni giorno dosi extra-terapeutiche di benzodiazepine. Non sono pochi e il sistema sanitario è totalmente impreparato, a nostro avviso, a gestire questo tipo di problematica».
3) Perché il rischio dipendenza è più elevato nei pazienti con storia di abuso di alcol e sostanze?
«L’alcol si lega allo stesso recettore GABA che lega le benzodiazepine . è come se i recettori fossero talmente abituati a legare molecole simil-benzodiazepiniche che quasi non si accorgono della loro presenza e per avvertirla, hanno bisogno di dosi sempre maggiori».
4) Il rischio di dipendenza è uguale per tutte le benzodiazepine o dipende anche dalla loro emivita?
«A lungo si è pensato che a maggior rischio dipendenza fossero le benzodiazepine a breve emivita. Abbiamo ampiamente dimostrato che non è così vero. Il triazolam infatti, la benzodiazepina a più breve emivita, rappresenta una quota minima del nostro campione. Nel nostro studio, in pratica, quasi nessuno faceva abuso di triazolam. Sono invece le benzodiazepine a emivita medio-breve le più pericolose».
5) Perché le benzodiazepine a emivita medio- lunga espongono tanto al rischio dipendenza?
«L’emivita non è l’unico fattore che determina il rischio di sviluppare dipendenza da benzodiazepine. Nel nostro studio abbiamo documentato che la maggior parte delle persone che utilizzavano benzodiazepine ad alte dosi assumevano la specifica benzodiazepina in gocce, mentre lo stesso principio attivo in compresse era raramente abusato a questi dosaggi».
6) È corretto assumere le benzodiazepine di tanto in tanto se non si dorme?
«Dopo aver stabilito, anche con uno specialista, che l’insonnia non sia secondaria ad altre cause (sono molte), e se una corretta igiene del sonno (solo per fare alcuni esempi: evitare pasti abbondanti o attività fisica intensa la sera, non guardare la televisione nella stanza da letto) non ha funzionato è corretto ricorrere a una benzodiazepina, ma non per più di 2 settimane. Poi si interrompe, magari per fare un altro ciclo a distanza. Negli anziani è utile ricorrere alla melatonina, la cui produzione endogena scende con l’avanzare dell’età».
7) Con quale dosaggio bisognerebbe iniziare se si usano per l’insonnia?
«E’ importante stabilire se l’insonnia, oltre a quanto già accennato, è iniziale (difficoltà ad addormentarsi), media (risvegli frequenti durante la notte) o tardiva (risveglio precoce nelle prime ore del mattino). Normalmente si consiglia di usare una benzodiazepina a breve emivita negli anziani, per evitare il rischio di accumulo, dato che il metabolismo nella terza età è rallentato e la probabilità di assumere altri farmaci, molto più alta. Gli anziani che assumono benzodiazepine hanno maggiore rischio di cadute e, sembrerebbe, anche di deficit cognitivi, anche se quest’ultimo punto è ancora interlocutorio. Nei giovani si preferisce usare benzodiazepine a lunga emivita, con un minor rischio di uso prolungato, quindi abnorme. Va comunque ricordato che l’assunzione di benzodiazepine è incompatibile con la guida, anche se il contesto normativo è poco chiaro ed applicato in modo difforme sul territorio nazionale».
8) E’ possibile dare dei consigli di massima sul dosaggio ideale per iniziare un trattamento con benzodiazepine?
«Il dosaggio corretto è il minimo efficace. Negli anziani è importante partire a bassa dose per evitare il cosiddetto “effetto paradosso”, laddove la benzodiazepina agita invece che calmare.
Il tipo di insonnia guida la scelta della benzodiazepina: un’insonnia precoce vede l’indicazione a una benzodiazepina a breve emivita. Una insonnia intermedia andrebbe trattata con una benzodiazepina ad emivita un po' più lunga. L’insonnia tardiva va considerata con attenzione, potrebbe essere la spia di una depressione. Un’emivita lunga potrebbe essere di utilità in questi casi, anche se potrebbe comportare un effetto “hang-over” di eccessiva sedazione al risveglio. Va sempre valutato il consumo alcolico concomitante: l’alcol favorisce l’addormentamento ma disturba pesantemente la fase tardiva del sonno; è un inibitore della fase REM e potenzia gli effetti delle benzodiazepine».
9) Non mi piace come mi fanno sentire, da oggi smetto e non le prendo più? E’ opportuno fare questa scelta?
«Smettere è poco problematico se si prendono da poco tempo, nel caso di un uso prolungato non andrebbero sospese di colpo ma gradualmente: circa il 10% in meno a settimana. Poi nel caso di alte dosi la sospensione dovrebbe necessariamente essere supervisionata da un medico esperto».