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È un disturbo benigno e, come tale, nella maggior parte dei casi si risolve in tempi ragionevoli. Ciò non toglie che il calazio, oltre che comune, sia talora pure fastidioso. «Le forme più seccanti sono quelle che colpiscono la palpebra superiore», spiega Pasquale Troiano, direttore dell’unità operativa di oculistica dell’ospedale Fatebenefratelli di Erba (Como).

DI CHE COSA SI TRATTA
«Nello spessore delle palpebre si trovano decine di ghiandole simili a quelle sebacee della cute, note con il nome di ghiandole di Meibomio. Queste producono il mebo, che contribuisce alla formazione della componente grassa delle lacrime - prosegue l’esperto, a capo del comitato tecnico-scientifico della Società Oftalmologica Italiana -. Quando il mebo diventa troppo denso, il dotto che porta il grasso all’esterno si ostruisce e genera una specie di ciste che denominiamo calazio, a cui si associa una notevole reazione infiammatoria, con il rigonfiamento di tutta la palpebra interessata. La diagnosi di calazio dev’essere fatta dal medico oculista poiché è necessario distinguerlo da altre alterazioni a carico delle palpebre al fine di impostare la terapia corretta».

QUALI SINTOMI PROVOCA
«All’esordio, il calazio può dare dolenzia a causa della reazione infiammatoria. Trascorso qualche giorno la reazione infiammatoria scompare, la palpebra si sgonfia ma rimane la ciste che può dare sensazione di corpo estraneo: soprattutto se di grandi dimensioni e collocata nella palpebra superiore».

ACCADE A CHI HA PREDISPOSIZIONE?
«Può dipendere da una predisposizione costituzionale, ma il calazio è spesso favorito da una dieta sbilanciata, caratterizzata dal frequente consumo di cibi ricchi di grassi: formaggi, salumi, dolci. Nei soggetti predisposti, modificando lo stile alimentare si può ridurre il rischio di formazione di nuovi calazi».

COME SI INTERVIENE
«In fase acuta, cioè all’esordio del calazio, il trattamento si basa su pomate oftalmiche a base di cortisone che servono a ridurre la reazione infiammatoria prodotta dal calazio. Questo trattamento non dev’essere proseguito per più di 5 giorni. Dopo la risoluzione dell’infiammazione rimane l’ostruzione ghiandolare che può perdurare anche per vari mesi. Per aiutare la risoluzione del calazio è utile applicare impacchi caldi che fluidificano il mebo. Se il calazio non si risolve l’unica altra possibilità e la rimozione chirurgica della ghiandola ostruita».

QUALI SONO I GESTI CHE NON SI DOVREBBE COMPIERE SE SI HA UN CALAZIO?

«La cosa assolutamente da evitare e cercare di spremere il calazio, come se fosse un brufolo. Questa manovra è inefficace, dolorosa e può far aumentare l’infiammazione».

Twitter @fabioditodaro