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La premessa è d’obbligo: i risultati di questo curioso esperimento sono stati condotti sui topi e una reale applicazione nell’uomo è ben lontana. Tuttavia lo studio potrebbe aprire interessanti scenari per comprendere il funzionamento della nostra memoria. Un gruppo congiunto di ricercatori Katholieke Universiteit (KU) di Lovanio (Belgio) e del Leibniz Institute di Magdeburgo (Germania) hanno scoperto il modo per cancellare le esperienze negative. Il segreto? Spegnere il gene associato alla produzione della proteina “neuroplastina”. I risultati sono stati pubblicati dalla rivista Biological Psychiatry.

Alcuni recenti studi hanno dimostrato che difetti nel gene della neuroplastina, una proteina importante per la formazione delle sinapsi cerebrali, possono essere associati allo sviluppo di malattie quali schizofrenia e deficit intellettivi. Partendo da questo risultato gli scienziati hanno voluto indagare cosa accade accendendo e spegnendo il gene in questione a proprio piacimento. Per il test gli autori dello studio hanno utilizzato dei topi allenati a correre da un lato all’altro di una scatola non appena si accendeva un impulso luminoso per evitare una “scossa” alle zampe. Negli animali geneticamente modificati in modo da disattivare il gene della neuroplastina, rispetto ai roditori controllo in cui il gene funzionava normalmente, si è osservata una ridotta abilità nel corretto svolgimento dell’esercizio. In altre parole, i topi con il gene spento si erano dimenticati che alla luce sarebbe seguito lo stimolo fastidioso, e che per non sentirlo dovevano spostarsi.

«Siamo rimasti sorpresi nello scoprire che la disattivazione un singolo gene è sufficiente a cancellare la memoria associativa pre-acquisita o indotta durante le prove di apprendimento - commenta Detlef Balschun, uno degli autori-. Spegnere il gene della neuroplastina ha avuto un impatto sul comportamento dei topi, interferendo con la comunicazione tra le loro cellule cerebrali. Misurando i segnali elettrici nel cervello degli animali geneticamente modicati, infatti, il team ha rilevato chiari deficit nel meccanismo cellulare usato per memorizzare i ricordi. Un risultato interessante nella comprensione dei meccanismi legati alla memoria ma ancora molto lontano da un’applicazione in campo medico.

Twitter @danielebanfi83

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