Il tumore al seno sensibile all’azione degli ormoni rappresenta con 35 mila nuovi casi l’anno nel nostro paese i due terzi di tutti i tumori mammari.
Un passo in avanti nella ricerca delle cause della resistenza di questo tipo di tumori è stata fatta da un team internazionale di ricercatori, guidati dai professori Saverio Minucci e Giancarlo Pruneri dell’Università Statale di Milano e in collaborazione con l’Imperial College London, dove lavora il primo autore dello studio, il dottor Luca Magnani. Il gruppo ha mostrato che alla base della resistenza ai farmaci in questi tumori vi sarebbe un’alterazione genetica. Lo studio, condotto all’IEO e finanziato da AIRC, è stato pubblicato sulla rivista Nature Genetics.
«Uno dei problemi più importanti nell’utilizzo dei farmaci anticancro - dichiarano Minucci e Pruneri - è rappresentato dalla comparsa di cellule tumorali resistenti al trattamento. L’individuazione dei meccanismi di resistenza del tumore rappresenta un traguardo fondamentale per vincerla, utilizzando nuovi farmaci diretti contro la resistenza, oppure identificando modalità di utilizzo dei farmaci esistenti che possano superarla».
Gli autori, alla ricerca dei meccanismi molecolari di resistenza alla terapia comunemente utilizzata in queste pazienti, basata sugli inibitori dell’aromatasi, hanno osservato che circa il 15% dei tumori mammari sviluppa resistenza alla terapia come conseguenza di una specifica alterazione genetica, aumentando i livelli intracellulari della molecola-bersaglio di questi farmaci: la aromatasi presente nelle cellule tumorali. Il gruppo ha già avviato la messa a punto di un test su base molecolare in grado di identificare tale alterazione genica nelle pazienti per poterle indirizzare verso terapie alternative, già disponibili o in via di sperimentazione.
«Il test genetico - spiegano gli autori dello studio - attualmente è a uno stadio non utilizzabile per una diagnosi routinaria. Ha bisogno infatti di essere “irrobustito” e standardizzato, un processo che speriamo di portare a compimento con ulteriori fondi per la ricerca».
http://www.nature.com/ng/journal/vaop/ncurrent/full/ng.3773.html
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