Proprio quando gli studi sul presunto legame tra uso del telefonino e tumori sembravano escludere la possibilità, la più grande ricerca di laboratorio fatta negli Usa su questo tema aggiunge nuovi elementi di allarme. Secondo lo studio durato due anni del National Toxicology Program (Ntp)statunitense, una agenzia federale, infatti, l'esposizione alle radiofrequenze tipiche dei cellulari aumenta i casi di alcuni tipi di cancro, almeno nei ratti maschi. Lo studio, costato 25 milioni di dollari, è stato condotto su oltre 2500 ratti e topi esposti a varie quantità di radiofrequenze in 21 camere progettate appositamente.

La decisione di pubblicare i risultati preliminari sui ratti è venuta dopo che il sito microwave.com ne aveva anticipato i risultati, mentre il rapporto completo, che è stato controllato e verificato da autorità indipendenti, sarà pubblicato l'anno prossimo. Il piccolo aumento, si legge nel rapporto, è stato visto solo negli esemplari maschi, e sia in quelli sottoposti a frequenze Gsm che del tipo Gdma. Per i topi esposti alle radiazioni in utero si è visto un leggero calo del peso medio alla nascita. «Lo studio ha trovato una bassa incidenza di gliomi maligni nel cervello e schwannomi nel cuore dei ratti maschi esposti - scrivono gli esperti -. Dato l'ampio uso a tutte le età delle tecnologie per la comunicazione mobile anche un piccolo aumento che dovesse risultare dall'esposizione potrebbe avere grandi implicazioni per la salute pubblica». Il tema del legame fra cellulari e tumori è tutt'ora molto dibattuto. L'Oms nel 2011 ha classificato le radiofrequenze nel gruppo 2b dei 'possibili cancerogenì, lo stesso ad esempio della caffeina, basandosi su alcuni studi in laboratorio e su ricerche epidemiologiche che davano un aumento della frequenza proprio dei tumori riportati dalla ricerca dell'Ntp.

Altri studi però, l'ultimo dei quali pubblicato pochi giorni fa e condotto in Australia, hanno escluso connessioni, e anche il grande progetto europeo Interphone, almeno nella sua prima fase, aveva escluso aumenti del rischio anche per gli utilizzatori maggiori. Gli stessi autori del rapporto statunitense poi sottolineano che le conclusioni di uno studio condotto sugli animali non sono applicabili automaticamente all'uomo. «Se prima però qualcuno diceva che non c'era nessun rischio - commenta al Wall Street Journal Ron Melnick, a capo del progetto fino al pensionamento nel 2009 e uno dei revisori del rapporto - penso che questi risultati non lo rendano più possibile».

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