Più magri e più forti: al punto da poter vivere almeno dieci anni in più a quella che sarebbe stata la loro prospettiva di vita, senza entrare in sala operatoria. I benefici della chirurgia bariatrica per i grandi obesi sono ormai consolidati da decine di pubblicazioni. Ma se in molti casi ci si è concentrati sulla valutazione dell’incidenza di nuove malattie correlate all’obesità, nell’ultimo studio pubblicato sul «Journal of the American Medical Association» il beneficio è stato misurato a lungo termine (fino a dieci anni dopo) e rispetto al fine ultimo dell’intervento: l’aumento della sopravvivenza. «A parità di peso di partenza, tra le persone che non si operano abbiamo registrato tassi di morte doppi rispetto a chi invece aveva avuto l’opportunità di perdere peso ricorrendo al bisturi», afferma Philip Greenland, docente di medicina preventiva alla Northwestern University e coautore della pubblicazione.
I vantaggi della chirurgia bariatrica
Lo studio ha posto a confronto 8385 persone sottoposte a una procedura di chirurgia bariatrica - bendaggio gastrico, bypass, gastrectomia verticale - con 25155 obesi non operati. La loro età media era di 46 anni e l’indice di massa corporea - ovvero la grandezza che rapporta il peso corporeo all’altezza - pari a 40: considerato il valore minimo per procedere alla chirurgia bariatrica anche dalla Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità (Sicob).
L’osservazione per due lustri ha permesso di andare oltre quelli che erano i benefici finora dimostrati: ovvero un miglior controllo dell’ipertensione e del diabete di tipo 2, a loro volta già fattori di rischio per l’insorgenza di malattie cardiovascolari e tumori.
Nell’arco di dieci anni è stato infatti possibile valutare anche l’impatto della chirurgia bariatrica, accompagnata da un intervento dietetico e da un supporto psicologico adeguato, su altri aspetti: come l’assorbimento di nutrienti e la comparsa di forme di anemia dovuta alla carenza di ferro. I pazienti operati non sono risultati più esposti a queste conseguenze, rispetto a coloro che non avevano avuto modo di veder ridurre il proprio peso corporeo ricorrendo al bisturi.
La storia della chirurgia bariatrica
Le potenzialità della chirurgia bariatrica oggi sono osservate con interesse anche negli adolescenti, per far fronte all’obesità infantile. Ma quando nacque, a metà degli anni ’70, la possibilità di trattare chirurgicamente l’eccesso creò scompiglio anche nella comunità scientifica. L’efficacia del trattamento a lungo termine fu il grimaldello con cui gli specialisti che avevano appreso le prime metodiche negli Stati Uniti fecero breccia in Italia. Oggi in Italia ci sono sei milioni di obesi e almeno uno di essi, secondo gli esperti, richiederebbe un approccio chirurgico. Il paziente da sottoporre a un intervento deve rispettare alcuni requisiti: possedere un indice di massa corporea uguale o superiore a 40 (anche inferiore, se associato ad altre malattie), poi dimostrare di non avere tratto benefici da approcci dietetici, avere un basso rischio operatorio e un’alta componente motivazionale.
Le diverse opportunità
Le metodiche di intervento, effettuate quasi sempre in laparoscopia, sono quattro, se si esclude il pallone intragastrico: di silicone e forma sferica, è inserito per via endoscopica nello stomaco con lo scopo di preparare l’obeso al successivo intervento chirurgico. Permanenti sono gli altri approcci restrittivi: il bypass gastrico (si crea una tasca che permette al bolo di saltare parte dello stomaco e il primo tratto dell’intestino tenue) è il più usato al mondo e dimostra una percentuale più alta di riduzione del peso in eccesso dopo cinque anni (62%). Anche l’impiego della gastroplastica verticale, con una riduzione di due terzi della superficie dello stomaco, è in crescita costante. Pur essendo più adatta per quei pazienti contrari alla dieta, più invasiva è la diversione biliopancreatica: una volta asportati una parte dello stomaco e l’intera colecisti, viene creato un secondo canale che ritarda l’incontro tra gli alimenti e le secrezioni digestive.
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