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Negli Stati Uniti la prevalenza della malattia, ovvero la percentuale di diffusione all’interno della popolazione generale, è rimasta immutata, negli ultimi cinque anni. Ma i consumi di alimenti senza glutine, nel medesimo periodo, sono aumentati in maniera rilevante.

Basta questa contrapposizione per descrivere la dicotomia che riguarda la celiachia, l’intolleranza alimentare al glutine che in Italia riguarda oltre 180mila persone. La malattia è una realtà, ma a «intaccarne» l’identità è l’abuso che si fa della dieta senza glutine: l’unica terapia riconosciuta per i celiaci che negli ultimi anni s’è elevata al rango di moda, nella crescente fetta di popolazione ossessionata dai propri consumi alimentari.

UN’ANOMALIA CHE NASCE NEGLI STATI UNITI

Uno studio pubblicato sulla rivista «Jama Internal Medicine» ha corroborato l’ipotesi del cattivo impiego della dieta senza glutine da parte della popolazione sana, che si osserva anche in Italia. I ricercatori della Rutgers Medical School di Newark hanno portato alla luce la contraddizione che negli Stati Uniti vuole stabile il numero delle diagnosi di celiachia, a fronte dell’aumento dei consumi di prodotti senza glutine.

A questa conclusione gli studiosi sono giunti dopo aver rilevato i dati attraverso l’indagine sulle abitudini alimentari e la salute degli americani che è in corso da anni, nota con l’acronimo di NHANES. Prendendo in esame le statistiche relative a oltre 22mila americani, per cui erano disponibili informazioni sulla diagnosi certa di celiachia negli anni compresi tra il 2009 e il 2014, e incrociandoli con quelli tratti dai questionari sulle abitudini alimentari presenti nel grande archivio dell’indagine NHANES, i ricercatori hanno scoperto che, complessivamente, lo 0,69 per cento degli individui studiati soffriva di celiachia, secondo un trend più o meno simile a quello che si osserva in Italia e non differente rispetto a quello rilevato negli Usa negli anni precedenti.

Eppure era l’1,08 per cento la quota di persone osservate nello studio che seguiva una dieta priva di glutine, pur senza essere malata. Dati che, proiettati su scala nazionale, hanno portato gli autori della ricerca ad affermare che negli Stati Uniti i celiaci sarebbero poco più di 1,7 milioni, mentre i consumatori abituali di prodotti senza glutine sarebbero almeno 2,7 milioni.

LE CONSEGUENZE DI UNA SCELTA SBAGLIATA

Questi numeri equivalgono ad affermare che ci sono persone sane che decidono di assumere spontaneamente un farmaco, che in questo caso proviene dalla dieta. Le conseguenze di una simile scelta non sono da trascurare.

Sbaglia chi dice che la dieta senza glutine possa far comunque bene alla salute, contribuendo magari alla riduzione del peso corporeo. «L’eventuale riduzione del peso corporeo è da ricondurre a una quasi totale estromissione dei cereali dalla dieta, ma i prodotti resi privi di glutine non sono ipocalorici - afferma Umberto Volta, docente di medicina interna all’Università di Bologna -. Spesso, per renderli più appetitosi, sono addizionati con oli vegetali polinsaturi. I celiaci dovrebbero leggere con attenzione le etichette ed evitare gli alimenti con un contenuto di grassi superiore al 20-30 per cento».

Secondo punto: l’abuso di una terapia rischia di svilire il valore della stessa. «Questi prodotti sono inseriti nel registro nazionale degli alimenti e considerati un salvavita - ricorda ogni volta che può Caterina Pilo, direttore generale dell’Associazione Italiana Celiachia -. In questo modo c’è il rischio che si smantellino le politiche a difesa dei celiaci e si perdano le caratteristiche distintive della malattia».

GLI INPUT SBAGLIATI CHE GIUNGONO DAI VIP

Secondo le ultime stime, dunque, negli Stati sono almeno un milione le persone che consumano alimenti senza glutine senza alcuna indicazione medica. Qualcosa di simile si osserva anche in Italia, seppur con numeri più contenuti. Le ultime rilevazioni raccontano infatti, sul totale dei prodotti senza glutine acquistati in un anno (il giro di affari ruota attorno a 250 milioni di euro), un quarto venga acquistato con risorse proprie e non facendo riferimento ai buoni che i celiaci hanno per essere esentati dal pagamento di alimenti che di fatto possono essere equiparati a dei farmaci.

Ciò vuol dire che la somma garantita non è sufficiente a sfamare il celiaco per un mese, anche se viene calcolata sulla stima del fabbisogno energetico del celiaco, o che c’è una quota di pubblico generale che li acquista di tasca propria. La seconda ipotesi è considerata il determinante dell’andamento del mercato del senza glutine, su cui hanno un peso determinante le scelte alimentari compiute da alcuni personaggi famosi: su tutti l’attrice Gwyneth Paltrow e il tennista Novak Djokovic, che riconducono all’eliminazione del glutine dalla propria dieta (pur senza essere celiaci) la causa dei loro successi.

Tutto ciò non aiuta la corretta informazione scientifica. Il messaggio da portare a casa deve essere chiaro: la dieta senza glutine non serve e può finanche essere dannosa, se non si è celiaci.

Twitter @fabioditodaro

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