Molti, tra medici e infermieri, li stanno assumendo anche a scopo profilattico. Le prime evidenze riguardanti il potenziale che la clorochina e l’idrossiclorochina (due tra i più noti antimalarici) avrebbero nel trattamento del Covid-19 hanno aperto un doppio fronte di discussione all’interno della comunità scientifica. Da una parte c’è il desiderio di indagare a fondo il loro effetto (antinfiammatorio e antivirale) nelle persone entrate a contatto con il Coronavirus. Dall’altra c’è l’esigenza di rispettare le migliaia di altri pazienti che li assumono: non soltanto per la profilassi malarica, ma soprattutto in alcun schemi terapeutici dell’artrite reumatoide e del lupus eritematoso sistemico (malattie autoimmuni). Molti di loro, da settimane, segnalano la difficoltà nel reperire le molecole (soprattutto l’idrossiclorochina) in farmacia: «Stanno andando a ruba per il Covid-19». Da qui il nascere di una nuova sfida per il servizio sanitario nazionale.
Il ruolo della clorochina al tempo del Coronavirus
L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ritiene uno dei farmaci potenzialmente in grado di curare Covid-19. Questo perché, partendo da quanto osservato ai tempi della Sars, la clorochina ha dimostrato di poter bloccare anche la replicazione del materiale genetico del Sars-CoV-2. Considerando questa premessa, i ricercatori di diversi Paesi hanno avviato studi clinici mirati a valutare l’effetto sui pazienti affetti dalla polmonite interstiziale provocata dal Coronavirus. Le evidenze preliminari suonano come una conferma, alla luce del miglioramento della sintomatologia degli affetti da Covid-19. «C’è un razionale scientifico dietro la possibile efficacia della clorochina da parte di questi pazienti», è la sintesi fatta da quattro ricercatori dell’Università di Palermo in un lavoro pubblicato sul «Journal of Critical Care».
Secondo la Società di Malattie Infettive e Tropicali (Simit), «la clorochina ha un’attività immunomodulante che potrebbe amplificare l’attività antivirale in vivo»: da cui l’ipotesi di ricorrervi in combinazioni, con farmaci antivirali o antibiotici. Il farmaco, per avere il massimo effetto, deve però essere somministrato in combinazione con un’altra molecola. Quella più utilizzata a livello sperimentale, al momento, è un antibiotico: l’azitromicina, che giocherebbe un ruolo importante nel proteggere i pazienti dal rischio di seconde infezioni polmonari che spesso si aggiungono a quella da Coronavirus.
Clorochina a scopo profilattico?
C’è però anche un’ipotesi nuova, lanciata nei giorni scorsi dal virologo Roberto Burioni: la clorochina potrebbe essere ancora più efficace se assunta non solo quando il paziente è sintomatico, ma anche prima dell’infezione. L’evidenza è emersa da uno studio (in fase di pubblicazione) che ha portato i ricercatori del San Raffaele a isolare alcune cellule e a porle a contatto con il Coronavirus. Obbiettivo: valutare l’effetto in assenza di farmaco, con il Plaquenil (antimalarico a base di clorochina) somministrato prima dell’infezione, dopo o in entrambi momenti. In quest’ultimo caso, il numero di cellule infettate è risultato inferiore. «Una sperimentazione clinica di questo farmaco dovrebbe essere svolta somministrando il farmaco non soltanto quando il paziente sta già male, ma già prima dell’infezione agli individui che sono a maggior rischio», ha commentato Burioni.
Sul tema sono intervenuti anche i reumatologi, gli specialisti che maggiormente prescrivono clorochina e idrossiclorochina. In un’analisi pubblicata sulla rivista «Annals of Reumathic Diseases», quattro medici italiani hanno fatto una sintesi delle promettenti evidenze disponibili per la cura di Covid-19. Anticipando però un’altra possibile sfida: «In tempo di pandemia ,rischia di porsi un problema di carenza di questi farmaci, se si arrivasse a un’assunzione profilattica di massa».
Non dimenticare i fabbisogni dei malati reumatici
Dagli ospedali (soprattutto del Nord Italia) giunge notizia di molti camici bianchi che, ormai da mesi, assumerebbero l’idrossiclorochina a scopo profilattico. Un atteggiamento che, in una fase come questa, può come visto avere un senso nelle persone più esposte al rischio del contagio. Ma che, una volta sdoganato su grandi numeri (le due molecole sono relativamente sicure, oltre che vendute a un prezzo accessibile a tutti), ha portato molte persone a svuotare gli scaffali delle farmacie per fare incetta di questi medicinali.
Da qui l’allarme dei reumatologi, preoccupati per la continuità delle cure dei propri pazienti. «Di fronte a un utilizzo di questi farmaci ancora sperimentale, non dobbiamo dimenticarci dei malati reumatici - ha affermato Iain McInnes, direttore del dipartimento delle malattie infiammatorie, autoimmuni e infettive dell’Università di Glasgow e presidente dell’Organizzazione che riunisce tutte le società europee di reumatologia (Eular) -. Nel loro caso, la mancata assunzione di clorochina o idrossiclorochina può determinare un aggravamento delle malattie di cui soffrono».
Twitter @fabioditodaro
Molti, tra medici e infermieri, li stanno assumendo anche a scopo profilattico. Le prime evidenze riguardanti il potenziale che la clorochina e l’idrossiclorochina (due tra i più noti antimalarici) avrebbero nel trattamento del Covid-19 hanno aperto un doppio fronte di discussione all’interno della comunità scientifica. Da una parte c’è il desiderio di indagare a fondo il loro effetto (antinfiammatorio e antivirale) nelle persone entrate a contatto con il Coronavirus. Dall’altra c’è l’esigenza di rispettare le migliaia di altri pazienti che li assumono: non soltanto per la profilassi malarica, ma soprattutto in alcun schemi terapeutici dell’artrite reumatoide e del lupus eritematoso sistemico (malattie autoimmuni). Molti di loro, da settimane, segnalano la difficoltà nel reperire le molecole (soprattutto l’idrossiclorochina) in farmacia: «Stanno andando a ruba per il Covid-19». Da qui il nascere di una nuova sfida per il servizio sanitario nazionale.
Il ruolo della clorochina al tempo del Coronavirus
L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ritiene uno dei farmaci potenzialmente in grado di curare Covid-19. Questo perché, partendo da quanto osservato ai tempi della Sars, la clorochina ha dimostrato di poter bloccare anche la replicazione del materiale genetico del Sars-CoV-2. Considerando questa premessa, i ricercatori di diversi Paesi hanno avviato studi clinici mirati a valutare l’effetto sui pazienti affetti dalla polmonite interstiziale provocata dal Coronavirus. Le evidenze preliminari suonano come una conferma, alla luce del miglioramento della sintomatologia degli affetti da Covid-19. «C’è un razionale scientifico dietro la possibile efficacia della clorochina da parte di questi pazienti», è la sintesi fatta da quattro ricercatori dell’Università di Palermo in un lavoro pubblicato sul «Journal of Critical Care».
Secondo la Società di Malattie Infettive e Tropicali (Simit), «la clorochina ha un’attività immunomodulante che potrebbe amplificare l’attività antivirale in vivo»: da cui l’ipotesi di ricorrervi in combinazioni, con farmaci antivirali o antibiotici. Il farmaco, per avere il massimo effetto, deve però essere somministrato in combinazione con un’altra molecola. Quella più utilizzata a livello sperimentale, al momento, è un antibiotico: l’azitromicina, che giocherebbe un ruolo importante nel proteggere i pazienti dal rischio di seconde infezioni polmonari che spesso si aggiungono a quella da Coronavirus.
Clorochina a scopo profilattico?
C’è però anche un’ipotesi nuova, lanciata nei giorni scorsi dal virologo Roberto Burioni: la clorochina potrebbe essere ancora più efficace se assunta non solo quando il paziente è sintomatico, ma anche prima dell’infezione. L’evidenza è emersa da uno studio (in fase di pubblicazione) che ha portato i ricercatori del San Raffaele a isolare alcune cellule e a porle a contatto con il Coronavirus. Obbiettivo: valutare l’effetto in assenza di farmaco, con il Plaquenil (antimalarico a base di clorochina) somministrato prima dell’infezione, dopo o in entrambi momenti. In quest’ultimo caso, il numero di cellule infettate è risultato inferiore. «Una sperimentazione clinica di questo farmaco dovrebbe essere svolta somministrando il farmaco non soltanto quando il paziente sta già male, ma già prima dell’infezione agli individui che sono a maggior rischio», ha commentato Burioni.
Sul tema sono intervenuti anche i reumatologi, gli specialisti che maggiormente prescrivono clorochina e idrossiclorochina. In un’analisi pubblicata sulla rivista «Annals of Reumathic Diseases», quattro medici italiani hanno fatto una sintesi delle promettenti evidenze disponibili per la cura di Covid-19. Anticipando però un’altra possibile sfida: «In tempo di pandemia ,rischia di porsi un problema di carenza di questi farmaci, se si arrivasse a un’assunzione profilattica di massa».
Non dimenticare i fabbisogni dei malati reumatici
Dagli ospedali (soprattutto del Nord Italia) giunge notizia di molti camici bianchi che, ormai da mesi, assumerebbero l’idrossiclorochina a scopo profilattico. Un atteggiamento che, in una fase come questa, può come visto avere un senso nelle persone più esposte al rischio del contagio. Ma che, una volta sdoganato su grandi numeri (le due molecole sono relativamente sicure, oltre che vendute a un prezzo accessibile a tutti), ha portato molte persone a svuotare gli scaffali delle farmacie per fare incetta di questi medicinali.
Da qui l’allarme dei reumatologi, preoccupati per la continuità delle cure dei propri pazienti. «Di fronte a un utilizzo di questi farmaci ancora sperimentale, non dobbiamo dimenticarci dei malati reumatici - ha affermato Iain McInnes, direttore del dipartimento delle malattie infiammatorie, autoimmuni e infettive dell’Università di Glasgow e presidente dell’Organizzazione che riunisce tutte le società europee di reumatologia (Eular) -. Nel loro caso, la mancata assunzione di clorochina o idrossiclorochina può determinare un aggravamento delle malattie di cui soffrono».
Twitter @fabioditodaro