Più volte, nel recente passato, s’è puntato il dito contro le donne che ricorrono al congelamento dei propri ovociti: secondo la vulgata comune «ree» di aspettare troppo per fare un figlio , anteponendo le esigenze professionali a quelle private.
Ma la realtà, se si va a scavare nelle storie di chi ha un figlio oltre i 35 anni, è con ogni probabilità meno complessa di come sia stata fatta apparire finora. La scelta di ricorrere al «social freezing» è in realtà molto più spesso dettata da ragioni meno articolate. Ovvero: «La mancanza di un uomo accanto che abbia come obiettivi il matrimonio e la genitorialità».
Questo è quanto hanno raccontato 150 donne che, tra gli Stati Uniti e Israele, avevano fatto ricorso al congelamento degli ovociti, in modo da arrestarne l’invecchiamento e poter pensare a una gravidanza anche quando, ricorrendovi naturalmente, potrebbe essere troppo tardi.
Se manca il partner giusto
Contrariamente a quanto evidenziato da precedenti ricerche, sarebbe dunque la mancanza di un partner stabile la motivazione che porta le donne a optare per il congelamento degli ovociti a scopo precauzionale. Non tutte, nella ricerca coordinata da un gruppo di antropologi dell’Università di Yale e presentata a Barcellona in occasione del congresso della Società europea di medicina della riproduzione ed embriologia, hanno addotto come motivazione quella sopracitata.
Ma l’85 per cento delle intervistate ha dichiarato di non avere avuto un partner nel momento in cui ha optato per il congelamento degli ovociti. Una scelta che lascia intendere come non manchi il desiderio di maternità, ma non ci siano le condizioni anche dopo i trent’anni. In una fase della vita in cui fino a un paio di decenni addietro era molto più frequente incrociare donne divenute già mamme o in dolce attesa.
La restante quota di donne, seppur con un compagno, ha dichiarato di avere una relazione ancora troppo recente per pianificare la gravidanza o di avere accanto un uomo che non aveva come primo pensiero quello dell’allargamento della famiglia. Da qui l’idea di ricorrere al congelamento degli ovociti, in grado di essere fecondati anche a distanza di vent’anni dal prelievo.
Quanti ovociti conservare?
Non è dunque il desiderio di fare carriera la motivazione più frequente per cui una donna ricorre al congelamento degli ovociti. O almeno non tra gli Stati Uniti e Israele sebbene, nonostante le differenze sociali rilevabili da un Paese all’altro, i ricercatori siano convinti che «i dati siano in larga parte generalizzabili», motivo per cui è prevedibile che risposte analoghe possano essere raccolte anche in altri Paesi occidentali.
Ma quali indicazioni occorre seguire, se si nutre la stessa volontà? I dati sono ancora in via di definizione, «ma una donna con meno di 35 anni dovrebbe conservare tra 10 e 12 ovociti, mentre una più grande almeno venti, se vuole avere una ragionevole possibilità di rimanere incinta», per dirla con l’italiano Pasquale Patrizio, direttore del centro di preservazione della fertilità all’Università di Yale.
L’opportunità s’è diffusa dopo la messa a punto della vitrificazione degli ovociti, che preserva maggiormente la qualità degli ovuli rispetto al più tradizionale congelamento.
Meglio (se necessario) congelare gli ovociti il prima possibile
La vitrificazione di ovociti consiste nella stimolazione delle ovaie con ormoni simili a quelli che produce la paziente, per poi poter estrarre gli ovuli dalle ovaie mediante un ago molto fino, con un procedimento che richiede solo una minima sedazione.
In seguito, gli ovuli vengono conservati mediante un raffreddamento velocissimo, che evita la formazione di cristalli di ghiaccio: proteggendo così gli ovuli per tutto il tempo che sia necessario. Una volta maturata la volontà di affrontare una gravidanza la donna - ma lo stesso discorso riguarda anche le donne colpite dal cancro in età fertile che effettuano un trattamento di preservazione della fertilità: altrimenti intaccata da chirurgia, chemio o radioterapia - potrà utilizzare questi ovuli per fecondarli con il liquido seminale del partner o di un donatore e generare un embrione che verrà impiantato nel suo utero.
In Italia, a ogni modo, la procedura non è molto diffusa: al di fuori dei casi giustificati da un’esigenza medica. Sebbene sia vero che la vitrificazione degli ovociti in donne con più di 35 anni è possibile, le donne dovrebbero essere coscienti che quanto prima considerano l’opzione, più probabilità avranno di compiere il proprio desiderio riproduttivo in futuro.
«Mentre la sopravvivenza degli ovociti è simile, le probabilità di successo di gravidanza diminuiscono quando si sono vitrificati a un’età maggiore, come succede con gli ovociti freschi», spiega Ana Cobo, direttrice dell’Unità di criopreservazione di IVI Valencia.
Twitter @fabioditodaro