Il primo passaggio rimarrà rappresentato ancora a lungo dalla chirurgia. Ma nella cura del melanoma, i trattamenti farmacologici mirati sono destinati a soppiantare la chemioterapia. O meglio: in parte lo hanno già fatto, come testimoniano alcuni successi terapeutici garantiti dall’immunoterapia, soprattutto nella gestione della forma metastatica della malattia, che fino a non più di dieci anni fa lasciava poche speranze ai pazienti. È questo l’esito di una metanalisi condotta da un gruppo di ricercatori italiani e pubblicata sulla rivista della «Cochrane Collaboration».
La revisione di studi - un dossier di 333 pagine - fa la sintesi di quelle che erano le evidenze emerse da quasi tutti gli studi degli ultimi anni che avevano come oggetto la gestione del melanoma metastatico. La malattia colpisce per lo più i linfonodi, i polmoni, il fegato, le ossa e il cervello e d’ora in avanti l’approccio sarà sempre più improntato all’immunoterapia: eventualmente in combinazione con altre strategie terapeutiche.
A confronto cinque approcci terapeutici
La metanalisi - che nel concreto è un lavoro scientifico e statistico che ha come scopo il confronto tra diversi trials clinici - aveva l’obiettivo di aggiornare i dati di uno studio della Cochrane pubblicato nel 2000, alla luce delle innovazioni terapeutiche rese possibili da nuove classi di farmaci resi disponibili nell’ultimo decennio. Lo studio ha incluso 122 trials randomizzati, per un totale di oltre ventottomila pazienti coinvolti.
Nel robusto lavoro di indagine, le terapie per il melanoma sono state categorizzate in cinque diversi gruppi: chemioterapia tradizionale (comprendendo agenti singoli e terapie multifarmaco), bio-chemioterapia (che associa la chemioterapia ad alcune proteine prodotte dal sistema immunitario, come l’interleuchina-2), immunoterapia (basata sull’uso di anticorpi monoclonali che bloccano i freni del sistema immunitario), terapia mirata (rivolta a bloccare l’attività di oncoproteine necessarie al tumore per crescere) e altre terapie (come i farmaci anti-angiogenici). L’analisi ha così incrociato i differenti approcci possibili, confrontandoli fra di loro in termini di efficacia (effetto sulla sopravvivenza dei pazienti) e sui loro effetti collaterali (tossicità).
Nel melanoma metastatico la scelta ricade sull’immunoterapia
I migliori risultati in termini di efficacia per il controllo della malattia si sono raggiunti con l’immunoterapia (anticorpi anti-PD1 da soli o in combinazione con anticorpi anti-CTLA4) e la terapia target (inibitori di Braf da soli o in combinazione con inibitori di MEK), che hanno oggi soppiantato sia la chemioterapia sia la biochemioterapia nel trattamento del melanoma metastatico.
Tuttavia ci sono delle differenze fra queste terapie innovative: infatti, mentre l’efficacia risulta massima per la terapia target combinata, la immunoterapia combinata espone ad una maggiore tossicità mentre la immunoterapia anti-PD1 offre la possibilità di una minore tossicità pur a parziale discapito dell’efficacia. «La varietà di risorse terapeutiche oggi disponibili obbliga gli specialisti a considerare le migliori opportunità esistenti - è il commento di Vanna Chiarion Sileni, responsabile della struttura di oncologia del melanoma e dell’esofago dell’Istituto Oncologico Veneto di Padova, tra gli autori del dossier -. Di fronte a un paziente affetto da melanoma, occorre definire una strategia terapeutica che permetta di sfruttare al meglio le diverse opzioni considerando gli effetti immediati e tardivi e l’integrazione con i trattamenti locali: come la chirurgia e la radioterapia. L’obiettivo ultimo deve tendere alla cronicizzazione della malattia».
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