Hanno vissuto la paura del contagio e sono stati i più duramente colpiti dall’infezione da SARS-CoV-2. Gli anziani fin da febbraio, prima ancora dell’imposizione delle restrizioni, avevano messo in atto comportamenti virtuosi, adottando tutte le giuste strategie per proteggersi dal virus. È quanto emerge dall’indagine «Vivere ai tempi del Covid 19: la percezione del rischio e le strategie di resistenza in quarantena degli over 65» condotta dall’IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta, in collaborazione con Auser Regionale Lombardia, con l’associazione Nestore e altre associazioni di anziani e pensionati. In primo luogo, anche durante la pandemia a contare «è l’essere inseriti in una rete di relazioni sociali, non solo la famiglia: ciò migliora la salute e la qualità di vita e fa invecchiare più sani» ha spiegato la coordinatrice del lavoro Matilde Leonardi, direttrice della Neurologia, Salute Pubblica e Disabilità del Besta.

Dal 16 marzo al 17 aprile, i ricercatori hanno fatto 515 interviste a soggetti di età compresa tra 65 e 91 anni, il 56% donne e il 56% dei quali con almeno una patologia (diabete, ipertensione, cardiopatia, osteoporosi). Il 92% era pensionato, la maggior parte con una vita sociale attiva, orbitando tutti intorno al mondo dell’associazionismo. Gli anziani percepiscono il rischio di contrarre il Covid come inferiore rispetto alla minaccia di altre malattie, come il cancro e l’influenza. Si sono informati tramite la televisione (95%) e internet (76%) e hanno espresso un’elevata soddisfazione relativamente alla propria condizione abitativa (90%), economica (78%) e relazionale (76%). A cavarsela meglio di tutti, chi ha un ruolo attivo in un’associazione e chi non vive solo.

Cosa dicono questi dati? «Il campione ha caratteristiche culturali-economiche più elevate della media, ma in parte in linea con gli anziani del futuro, sempre più scolarizzati» è la premessa di Carla Facchini, sociologa di Bicocca e presidentessa di Nestore. Discorso a parte è la sicurezza economica: essi «hanno lunghe storie lavorative ben tutelate e difficilmente lo si potrà dire dei loro figli». Il loro comportamento corretto «è il portato di un modello culturale importato alla responsabilità verso gli altri e di una cultura in cui vi è l’accettazione del limite». Emerge anche «l’importanza della rete – continua la sociologa - e la forza dei legami “deboli”, quelli di amici e persone vicine che congiunti non sono. Ciò è da tenere in grande considerazione: in futuro aumenteranno gli anziani senza figli, separati/divorziati, mai sposati. Ma, appunto, la solitudine abitativa non coincide con quella effettiva delle persone». Infine, sul ruolo delle nuove tecnologie, che vendono i nostri anziani indietro rispetto agli altri paesi, «andrà rivista la lettura critica e problematica di tecnologia come elemento di isolamento – dice Facchini - al contrario, è un’opportunità per relazionarsi col mondo esterno».

Volgendo lo sguardo al futuro, che fare ora? Per Enzo Costa, responsabile di Auser nazionale, «di colpo, si è perso il rispetto dell’anziano. Ma già da prima mancavano i servizi alla persona e l’opportunità di un invecchiamento a domicilio». La speranza è che all’emergenza faccia seguito una riflessione che porti all’apertura di alcune porte: «I diritti sono sacrosanti ma devono essere supportati dal punto di vista economico – conclude Fabrizio Tagliavini, direttore scientifico del Besta - Ci deve essere una rivoluzione totale di visione e di allocazione delle risorse e questa può essere l‘occasione per ripensare il sistema».

Hanno vissuto la paura del contagio e sono stati i più duramente colpiti dall’infezione da SARS-CoV-2. Gli anziani fin da febbraio, prima ancora dell’imposizione delle restrizioni, avevano messo in atto comportamenti virtuosi, adottando tutte le giuste strategie per proteggersi dal virus. È quanto emerge dall’indagine «Vivere ai tempi del Covid 19: la percezione del rischio e le strategie di resistenza in quarantena degli over 65» condotta dall’IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta, in collaborazione con Auser Regionale Lombardia, con l’associazione Nestore e altre associazioni di anziani e pensionati. In primo luogo, anche durante la pandemia a contare «è l’essere inseriti in una rete di relazioni sociali, non solo la famiglia: ciò migliora la salute e la qualità di vita e fa invecchiare più sani» ha spiegato la coordinatrice del lavoro Matilde Leonardi, direttrice della Neurologia, Salute Pubblica e Disabilità del Besta.

Dal 16 marzo al 17 aprile, i ricercatori hanno fatto 515 interviste a soggetti di età compresa tra 65 e 91 anni, il 56% donne e il 56% dei quali con almeno una patologia (diabete, ipertensione, cardiopatia, osteoporosi). Il 92% era pensionato, la maggior parte con una vita sociale attiva, orbitando tutti intorno al mondo dell’associazionismo. Gli anziani percepiscono il rischio di contrarre il Covid come inferiore rispetto alla minaccia di altre malattie, come il cancro e l’influenza. Si sono informati tramite la televisione (95%) e internet (76%) e hanno espresso un’elevata soddisfazione relativamente alla propria condizione abitativa (90%), economica (78%) e relazionale (76%). A cavarsela meglio di tutti, chi ha un ruolo attivo in un’associazione e chi non vive solo.

Cosa dicono questi dati? «Il campione ha caratteristiche culturali-economiche più elevate della media, ma in parte in linea con gli anziani del futuro, sempre più scolarizzati» è la premessa di Carla Facchini, sociologa di Bicocca e presidentessa di Nestore. Discorso a parte è la sicurezza economica: essi «hanno lunghe storie lavorative ben tutelate e difficilmente lo si potrà dire dei loro figli». Il loro comportamento corretto «è il portato di un modello culturale importato alla responsabilità verso gli altri e di una cultura in cui vi è l’accettazione del limite». Emerge anche «l’importanza della rete – continua la sociologa - e la forza dei legami “deboli”, quelli di amici e persone vicine che congiunti non sono. Ciò è da tenere in grande considerazione: in futuro aumenteranno gli anziani senza figli, separati/divorziati, mai sposati. Ma, appunto, la solitudine abitativa non coincide con quella effettiva delle persone». Infine, sul ruolo delle nuove tecnologie, che vendono i nostri anziani indietro rispetto agli altri paesi, «andrà rivista la lettura critica e problematica di tecnologia come elemento di isolamento – dice Facchini - al contrario, è un’opportunità per relazionarsi col mondo esterno».

Volgendo lo sguardo al futuro, che fare ora? Per Enzo Costa, responsabile di Auser nazionale, «di colpo, si è perso il rispetto dell’anziano. Ma già da prima mancavano i servizi alla persona e l’opportunità di un invecchiamento a domicilio». La speranza è che all’emergenza faccia seguito una riflessione che porti all’apertura di alcune porte: «I diritti sono sacrosanti ma devono essere supportati dal punto di vista economico – conclude Fabrizio Tagliavini, direttore scientifico del Besta - Ci deve essere una rivoluzione totale di visione e di allocazione delle risorse e questa può essere l‘occasione per ripensare il sistema».