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Lo si studia da tempo, ma rimane un problema spesso sottovalutato. Eppure, è un disturbo che incide alquanto nella vita di un bambino autistico e dei suoi familiari. Stiamo parlando di selettività alimentare, un’anomalia del comportamento alimentare molto diffusa in questi pazienti, che rifiutano una grande quantità di cibi sulla base di un gran numero di fattori diversi dal gusto o dalle preferenze individuali.

L’autismo è una patologia che colpisce quattro bambini su mille. I disturbi dello spettro autistico (ASD) sono disturbi del neurosviluppo caratterizzati da un funzionamento mentale atipico che perdura per tutta la vita, da deficit di comunicazione verbale e non verbale e da schemi di comportamento e di interessi ripetitivi e stereotipati, uno dei quali riguarda appunto il cibo e si chiama selettività alimentare. Di questo problema, che è presente in molti bambini ma molto più diffuso negli autistici, si è parlato a Rimini, nel corso della quinta edizione del convegno «Autismi. Risposte per il presente, sfide per il futuro», organizzato dal Centro Studi Erickson.

«Questo insieme di preferenze alimentari è specificamente legato alle anomalie sensoriali dell’autismo» ha spiegato il professor Luigi Mazzone, neuropsichiatra infantile del dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma. «I bambini autistici rifiutano regolarmente alcuni cibi sulla base dei fattori più diversi, come la consistenza al tatto e alla masticazione, l’aspetto come il colore e la forma, ma anche la marca e la confezione in cui esso si trova».

Secondo uno studio del professor Mazzone e colleghi, apparso sulla rivista Appetite, non vi sarebbero differenze cliniche rilevanti tra i bambini autistici con selettività alimentare e gli autistici senza questo problema. La differenza però esiste e riguarda i genitori. Infatti, lo stress che questo comportamento provoca in chi si prende cura del bambino è tale da incidere anche sulla percezione della gravità del disturbo del proprio figlio.

«Avere consapevolezza di ciò e affrontare precocemente questo problema è importante per scongiurare il rischio di una sua cronicizzazione – spiega Mazzone – Intervenire significa anche migliorare notevolmente la vita dei familiari, oltre a quella del bambino che altrimenti inizierà a presentare disturbi gastrointestinali a causa della dieta non equilibrata».

Data l’importanza del ruolo dei genitori, spesso esasperati di fronte al continuo rifiuto del figlio, il Bambin Gesù insieme ad AIRA (il cui congresso annuale si terrà a Roma il 6 e 7 dicembre) si sta concentrando sugli interventi di «parent training» per fornire ai familiari le giuste competenze per gestire al meglio la situazione. Anche perché in età adulta è poi più difficile intervenire sulle abitudini alimentari sbagliate legate alla selettività.

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