La situazione attuale degli scienziati impegnati nella ricerca contro il cancro somiglia a quella di Ercole che vede ricrescere le teste dell’Idra. Così la ricerca sta adattando le proprie strategie per far fronte a un nemico sempre più complesso e dinamico che si modifica in continuazione cambiando la propria composizione cellulare e diventando sempre più resistente alle terapie. Ma non si è forse troppo lontani dal momento in cui si avranno diagnosi immediate su tumori ancora così piccoli da essere invisibili a una tac e cure sempre più personalizzate, studiate anche per un solo paziente.
LA PAROLA CHIAVE È ETEROGENEITÀ
La metafora mitologica appartiene agli specialisti, che nei giorni hanno discusso le ultime novità dal mondo della ricerca in oncologia nel corso di un convegno tenutosi a Verona. «La parola chiave per capire dove stiamo arrivando è eterogeneità - afferma Aldo Scarpa, direttore del dipartimento di patologia e diagnostica molecolare dei tumori -. Sappiamo ormai da anni che i tumori non sono un’unica malattia, ma una famiglia di condizioni differenti, ognuna delle quali va trattata con farmaci diversi. Negli ultimi tempi abbiamo capito che ci sono ulteriori differenze non solo in questi sottogruppi, ma anche da paziente a paziente, persino in fasi diverse della malattia nella stessa persona. Questa è l’eterogeneità alla base del cancro, che ci fa capire come si può combattere efficacemente la malattia con strumenti diagnostici più precisi e rapidi e farmaci sempre più selettivi. Su questi aspetti è in atto un lavoro di ricerca senza precedenti».
IN FUTURO DIAGNOSI CON UN PRELIEVO DI SANGUE?
Non più di una quindicina di anni fa si scoprì che ogni tipo di tumore è in realtà una famiglia di malattie simili ma diverse, ciascuna delle quali caratterizzata da difetti appartenenti a geni differenti. La novità diede il via allo sviluppo dei farmaci a bersaglio molecolare, ognuno diretto contro gli effetti di una certa mutazione genica. Più di recente, percorrendo questa strada, la ricerca ha accertato che la realtà è ancora più complessa di quanto appaia. Si è infatti visto che le mutazioni geniche sono diverse anche da un paziente all’altro, che possono coesisterne più d’una, comparirne di nuove nello stesso tumore col passare delle settimane e dei mesi.
Adesso la comunità scientifica sta lavorando per chiarire fino in fondo questi meccanismi e per trovare strumenti diagnostici in grado di rilevarli e farmaci in grado di spezzarli. Di grande importanza sul piano diagnostico è la tecnologia DEPArray, che in un campione composto anche da pochissime cellule riesce a isolare e riconoscere quelle tumorali. «Spesso questi sono gli unici dati disponibili, dato che le cellule cancerose circolanti sono in concentrazioni minime, nel sangue e negli altri fluidi - prosegue lo specialista -. Si pensi cosa significhi questo quando si individuano cellule cancerose che segnalano tumori ancora minimi o che sono i residui di quelli asportati chirurgicamente o in fase disseminazione di metastasi». In questo modo in futuro - per l’utilizzo diffuso nella pratica clinica serviranno ancora diversi anni - si potrà decidere il farmaco a bersaglio molecolare più efficace.
L’ASSALTO FINALE
Queste acquisizioni fanno intravedere un obiettivo ambizioso, anche se ancora lontano: individuare le radici stesse del cancro, ciò che sta dietro le mutazioni genetiche, cioè l’eterogeneità. «Alla base di un tumore ci sono delle cellule staminali, le quali poi si differenziano nelle varie popolazioni’ di cellule cancerose, ognuna con la sua mutazione genetica - chiosa Scarpa -. Vorremmo riuscire a isolarle, capirne i meccanismi per poter colpire la radice delle varie popolazioni di cellule cancerose». Arrivare a questo punto equivarrebbe a dire l’ultima parola sul cancro.
Twitter @fabioditodaro
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