Abbiamo un po’ perso le nostre espressioni facciali in questo periodo. Sui nostri volti il sorriso arriva «contingentato», come accade alla maggior parte delle nostre azioni, ormai. E’ stata una lunga passeggiata dentro una specie di incubo, siamo stati angosciati per mesi, in parte lo siamo ancora. Non c’è da stupirsi se il viso di ciascuno rifletta oggi il buio di un trauma collettivo. Curioso dunque, che proprio fra gli operatori sanitari, gli eroi di questa emergenza che ha colpito il mondo intero con la pandemia da Coronavirus, ci sia qualcuno che il sorriso non l’ha mai perduto. Neppure nei momenti più tragici, nemmeno mentre stava in prima linea a cercare di curare i malati, a provare a salvare una vita. Così, il suo racconto dal titolo surreale e calzante, «Tante volte mi dimentico che non ho la faccia», è diventato testimonianza da prima pagina per l’ultimo numero di «Volere Volare», il bimestrale triestino gratuito fondato da Pino Roveredo e supportato da ALT, Associazione di volontariato nata vent’anni fa nel capoluogo friulano per prevenire e sostenere il disagio legato ai problemi di droga.
La storia di Martina, OSS trantaduenne che in piena emergenza Covid ha risposto al bando comunale per la ricerca di personale da impiegare in una struttura di pazienti non autosufficienti, parla di un’esperienza unica. Comunicare con gli altri, coi degenti in particolare, è stato complicato per lei. Scafandrata e attrezzata con mascherine e a volte schermi di plexiglass, è diventata una figura anonima che per farsi riconoscere dai colleghi e dai malati, ha dovuto scrivere il proprio nome, bello grande, sul dietro del camice. «Il modo di comunicare è diverso. Il sorriso non si vede - racconta nel suo scritto -. Mi accorgo che lavoro come ho sempre fatto, intendo dire con tutta la professionalità, senza farmi limitare da queste condizioni particolari. Tante volte mi dimentico che "non ho la faccia"! Io sono una persona piuttosto espressiva e molti ospiti anziani mi dicono che mi riconoscono lo stesso, dal tono della mia voce, da quello che trasmetto con gli occhi. Sì, la voce è importantissima, per supplire alla mancanza del tatto e trasmettere sicurezza».
Tossicodipendenza, un giornale triestino raccoglie le storie dei drammi e della salvezza
claudia carucciIncorniciata in una pagina dai colori forti e incisivi, elegante e preziosa come è nello stile di questa pubblicazione che, sotto la guida del direttore responsabile Elena Dragan, accoglie le vicende di chi vive il disagio della malattia e della tossicodipendenza, la narrazione della operatrice non è che il preludio di una serie di contenuti appassionati e sofferti, collegati all’epidemia che ha colpito l’Italia così come altri paesi. «Il tempo sospeso» è il titolone di testa che fa da collante ai vari interventi, sviluppati nei quattro paginoni magistralmente illustrati con i disegni di Andy Prisney e la supervisione grafica di Nanni Spano.
«Trasformare una catastrofe in un mondo migliore nella speranza di risvegliarci» è il messaggio di Alessandro che nella sua storia racconta della Pasqua di quest’anno, quella del 12 aprile 2020: «Oggi è Pasqua e siamo tutti chiusi in casa. Dopo quattordici anni finalmente la trascorro con mia figlia. Ho sempre lavorato in questo giorno per aver libero il Natale e mi sembra strano perché mia figlia sta a casa con me. Ha deciso di farsi qui la quarantena dandoci il tempo di ricostruire quel rapporto che si era logorato e stava andando allo sfascio. Alla fine un microscopico maledetto virus forse ci può insegnare qualcosa».
Rajini, invece, è sicura che nulla sarà più com’era un tempo, dopo questa tragedia: «Prima il bisogno compulsivo di comprare, di riempirmi di attività ogni minuto e non sopportavo il vuoto, la noia ... e ora il mondo si ferma. Cosa mi serve? L’indispensabile. Ho eliminato dal mio fabbisogno giornaliero: il caffè al bar, l’aperitivo, la socialità, ho eliminato le chiacchiere superficiali, le relazioni ipocrite, ho eliminato il mio e l’altrui giudizio, che stanca, impoverisce e disorienta. Non c’è competizione nella vita, non ci sono obiettivi, c’è il vivere prezioso alla giornata senza soffocarla tra un impegno e l’altro. Se tutto tornerà spero come prima, io non sarò più la stessa».
E avanti così, per ascoltare, leggendo, la disperazione, ma anche la crescita interiore e la scoperta di nuove frontiere per tante persone che, insieme al resto del mondo, hanno attraversato il guado, in compagnia dei loro drammi pregressi.
Abbiamo un po’ perso le nostre espressioni facciali in questo periodo. Sui nostri volti il sorriso arriva «contingentato», come accade alla maggior parte delle nostre azioni, ormai. E’ stata una lunga passeggiata dentro una specie di incubo, siamo stati angosciati per mesi, in parte lo siamo ancora. Non c’è da stupirsi se il viso di ciascuno rifletta oggi il buio di un trauma collettivo. Curioso dunque, che proprio fra gli operatori sanitari, gli eroi di questa emergenza che ha colpito il mondo intero con la pandemia da Coronavirus, ci sia qualcuno che il sorriso non l’ha mai perduto. Neppure nei momenti più tragici, nemmeno mentre stava in prima linea a cercare di curare i malati, a provare a salvare una vita. Così, il suo racconto dal titolo surreale e calzante, «Tante volte mi dimentico che non ho la faccia», è diventato testimonianza da prima pagina per l’ultimo numero di «Volere Volare», il bimestrale triestino gratuito fondato da Pino Roveredo e supportato da ALT, Associazione di volontariato nata vent’anni fa nel capoluogo friulano per prevenire e sostenere il disagio legato ai problemi di droga.
La storia di Martina, OSS trantaduenne che in piena emergenza Covid ha risposto al bando comunale per la ricerca di personale da impiegare in una struttura di pazienti non autosufficienti, parla di un’esperienza unica. Comunicare con gli altri, coi degenti in particolare, è stato complicato per lei. Scafandrata e attrezzata con mascherine e a volte schermi di plexiglass, è diventata una figura anonima che per farsi riconoscere dai colleghi e dai malati, ha dovuto scrivere il proprio nome, bello grande, sul dietro del camice. «Il modo di comunicare è diverso. Il sorriso non si vede - racconta nel suo scritto -. Mi accorgo che lavoro come ho sempre fatto, intendo dire con tutta la professionalità, senza farmi limitare da queste condizioni particolari. Tante volte mi dimentico che "non ho la faccia"! Io sono una persona piuttosto espressiva e molti ospiti anziani mi dicono che mi riconoscono lo stesso, dal tono della mia voce, da quello che trasmetto con gli occhi. Sì, la voce è importantissima, per supplire alla mancanza del tatto e trasmettere sicurezza».
Tossicodipendenza, un giornale triestino raccoglie le storie dei drammi e della salvezza
claudia carucciIncorniciata in una pagina dai colori forti e incisivi, elegante e preziosa come è nello stile di questa pubblicazione che, sotto la guida del direttore responsabile Elena Dragan, accoglie le vicende di chi vive il disagio della malattia e della tossicodipendenza, la narrazione della operatrice non è che il preludio di una serie di contenuti appassionati e sofferti, collegati all’epidemia che ha colpito l’Italia così come altri paesi. «Il tempo sospeso» è il titolone di testa che fa da collante ai vari interventi, sviluppati nei quattro paginoni magistralmente illustrati con i disegni di Andy Prisney e la supervisione grafica di Nanni Spano.
«Trasformare una catastrofe in un mondo migliore nella speranza di risvegliarci» è il messaggio di Alessandro che nella sua storia racconta della Pasqua di quest’anno, quella del 12 aprile 2020: «Oggi è Pasqua e siamo tutti chiusi in casa. Dopo quattordici anni finalmente la trascorro con mia figlia. Ho sempre lavorato in questo giorno per aver libero il Natale e mi sembra strano perché mia figlia sta a casa con me. Ha deciso di farsi qui la quarantena dandoci il tempo di ricostruire quel rapporto che si era logorato e stava andando allo sfascio. Alla fine un microscopico maledetto virus forse ci può insegnare qualcosa».
Rajini, invece, è sicura che nulla sarà più com’era un tempo, dopo questa tragedia: «Prima il bisogno compulsivo di comprare, di riempirmi di attività ogni minuto e non sopportavo il vuoto, la noia ... e ora il mondo si ferma. Cosa mi serve? L’indispensabile. Ho eliminato dal mio fabbisogno giornaliero: il caffè al bar, l’aperitivo, la socialità, ho eliminato le chiacchiere superficiali, le relazioni ipocrite, ho eliminato il mio e l’altrui giudizio, che stanca, impoverisce e disorienta. Non c’è competizione nella vita, non ci sono obiettivi, c’è il vivere prezioso alla giornata senza soffocarla tra un impegno e l’altro. Se tutto tornerà spero come prima, io non sarò più la stessa».
E avanti così, per ascoltare, leggendo, la disperazione, ma anche la crescita interiore e la scoperta di nuove frontiere per tante persone che, insieme al resto del mondo, hanno attraversato il guado, in compagnia dei loro drammi pregressi.