Il “sexting”, lo scambio di foto intime via chat e social network, è uno dei fenomeni più pericolosi del Web. Ed è anche uno dei fenomeni più diffusi, specie fra i giovanissimi: lo pratica un adolescente su quattro. Il sexting è spesso l'anticamera del cyberbullismo, come dimostra il caso di Carolina Picchio, 14enne di Novara morta suicida nel 2013 dopo che un suo video osé era stato condiviso in Rete. Ma anche casi ben più recenti, come quello di una 13enne romana che vive in un inferno da quando una sua foto intima, mandata a un coetaneo di cui si era innamorata, è stata diffusa nella chat della scuola.
Luca Bernardo, di casi come quello di Carolina e delle altre, ne ha visti e ne vede parecchi. «Nel solo 2016 abbiamo curato 1112 pazienti, l'80% dei quali riguarda il Web e i fenomeni della Rete, in aumento rispetto all'anno precedente», racconta. Bernardo è il direttore della Casa pediatrica Fatebenefratelli Sacco di Milano, che ospita il Centro Nazionale sul Disagio Adolescenziale. Una struttura che aiuta tanto le vittime di bullismo quanto gli stessi bulli.
Chi è che di solito cade nella trappola?
«I bulli scelgono la propria vittima accuratamente. Spesso si tratta di ragazze con una bassa autostima e con un carattere fragile, e da quello che è un gioco di coppia passano alla richiesta di avere un ricordo, come una foto intima. Che però per loro diventa un trofeo da esporre agli amici come prova del proprio potere».
Ma si rendono conto del danno che creano?
«Perfettamente. Il bullo agisce con il preciso intento di fare del male, e prova piacere nel farne. Il peggior nemico del bullo è il bullo stesso Il suo è un problema di rabbia, che spesso deriva dalla condizione che vive a casa. Chi cresce in un contesto di violenza, è più soggetto. Quello che noi facciamo nel nostro Centro, è cercare di “incanalare” questa rabbia, affinché non venga sfogata sui soggetti più deboli».
Soggetti che diventano vittime sacrificali.
«Quello che queste persone hanno in comune è il senso di vergogna. La vittima di bullismo è convinta di avere colpa, e di aver meritato quella punizione. È per questo che sono restie a parlarne».
Come può accorgersi un genitore che il proprio figlio o la propria figlia è vittima di un bullo?
«I segnali ci sono e non vanno sottovalutati. Si va dall'improvvisa sospensione dell'uso dei social media ai cambi d'umore repentini, fino ai disturbi alimentari e al cosiddetto “cutting”, la pratica di autoinfliggersi dei tagli, per far sì che il dolore fisico superi e attutisca quello morale. Inizialmente ci si taglia in zone nascoste del corpo, come la parte interna delle braccia o delle gambe, poi in modo sempre più visibile, sui polsi e sulle mani. Quello è un estremo grido d'aiuto, e bisogna intervenire in tempo».
Come se ne esce?
«Avviando un percorso condiviso con la famiglia e la scuola. Quest'ultime da sole non bastano, ci vogliono degli esperti che sappiano seguire il processo di recupero. Il calvario che deriva da episodi di cyberbullismo può durare anche più di un anno, e mai meno di sei mesi».
andrea.andrei@ilmessaggero.it
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