L’epidemia di diabete porterà con sé anche un’impennata di eventi cardiocircolatori, come infarti e ictus. Dei 4 milioni di diabetici italiana, quelli che hanno già avuto un infarto del miocardio sono 400.000 e sono 250.000 quelli colpiti da ictus. Gli elevati livelli di glicemia, l’ipertensione e l’obesità associate al diabete aumentano il rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare, principale causa di mortalità associata al diabete. E lo scompenso cardiaco è la più frequente causa di ospedalizzazione nel diabete. Negli ultimi anni, oltre al controllo glicemico, l’attenzione è puntata sempre più anche sulle complicanze cardiovascolari.

Personalizzare la terapia, sulla base del rischio del singolo paziente di andare incontro a eventi cardiovascolari, dopotutto, è già previsto nelle linee guida europee e americane nel trattamento del diabete. Oggi a disposizione dei clinici ci sono nuovi farmaci anti-diabetici efficaci anche in termini di protezione cardiovascolare e renale. Anche di questo si è discusso al congresso dell’American Heart Association che ha riunito i cardiologi di tutto il mondo a Chicago e dove è stata confermata la necessità di prestare attenzione al cuore e ai reni nel trattamento del paziente diabetico.

A Chicago è stato presentato uno studio, Declare, apparso sul sul New England Journal of Medicine e condotto per cinque anni in 33 paesi per un totale di oltre 17mila pazienti con diabete di tipo 2 ad alto rischio cardiovascolare o con già una malattia cardiovascolare. La molecola dapagliflozin, un inibitore di Sglt2-2 che blocca il riassorbimento di glucosio e di sodio abbassando la glicemia, ha mostrato una riduzione statisticamente significativa dell’ospedalizzazione per scompenso cardiaco e della morte per eventi cardiovascolari per una vasta popolazione di pazienti.

«Questi risultati sono clinicamente rilevanti per i 3 milioni di pazienti che in Italia sono affetti da diabete di tipo 2 e che hanno un rischio da 2 a 5 volte più grande di scompenso cardiaco e malattia cardiovascolare rispetto ai soggetti non diabetici», ha affermato Stefano Del Prato, direttore dell’Unità Operativa di Malattie del Metabolismo e Diabetologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa. «Lo scompenso cardiaco è la prima causa di ospedalizzazione in Italia e dopo 5 anni dalla diagnosi solo il 50% dei pazienti con scompenso cardiaco sopravvive.

Per questo i risultati dello studio Declare, ottenuti in una popolazione molto vicina a quella che vediamo normalmente nei nostri ambulatori, rivestono un particolare interesse e sottolineano la necessità di andare oltre l’obiettivo del controllo glicemico per un approccio più integrato del diabete e delle sue complicanze cardiache e renali».

«Lo studio Declare, oltre alla sicurezza cardiovascolare, ha dimostrato la significativa riduzione del rischio per scompenso cardiaco o morte cardiovascolare e un effetto nefro-protettivo in tutta la popolazione arruolata, anche nei pazientiin prevenzione primaria e con la stessa efficacia – ha detto il Andrea Giaccari, responsabile del Centro per le malattie endocrine e metaboliche della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma - Questi dati, uniti al buon profilo di sicurezza, raccomandano ulteriormente l’utilizzo in fase precoce di dapagliflozin e ci impongono di riflettere su nuovi modelli di gestione e presa in carico di questi pazienti».

vai all'articolo originale